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Perù, la protesta vince: alt alla miniera che inquina il fiume

Perù, la protesta vince: alt alla miniera che inquina il fiumeGli scontri ad aprile ad Arequipa contro la miniera di rame Tía Maria

Perù Il governo regionale costretto da scioperi e manifestazioni di contadini e abitanti a sospendere, per il momento per quattro mesi, l’estrazione di rame a cielo aperto nel sito Tía Maria

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 17 agosto 2019

È una bella pagina di resistenza al modello estrattivista in auge in tutta l’America latina, quella che il popolo peruviano sta scrivendo nella regione di Arequipa contro il progetto di estrazione di rame Tía Maria della società mineraria messicano-statunitense Southern Copper corporation (nella foto sotto il cantiere).

La protesta era esplosa il 9 luglio scorso, quando il governo di Martin Vizcarra, dopo 10 anni di conflitto anche violento (con 7 vittime e un centinaio di feriti), aveva concesso alla compagnia l’autorizzazione a estrarre rame nella provincia de Islay per un periodo di 21 anni attraverso due miniere a cielo aperto, usando la falda acquifera della valle del Tambo.

 

Al grido di «agricoltura sì, miniere no», la popolazione della valle del Tambo aveva proclamato così uno sciopero a tempo indeterminato – portato avanti per oltre venti giorni -, a cui si era poi aggiunto anche uno sciopero a livello regionale, con proteste e blocchi in vari punti di Arequipa duramente repressi dalla polizia.

Obiettivo della mobilitazione – condiviso anche dal governatore della regione Elmer Cáceres, il quale non ha esitato a dare a Vizcarra del «traditore» – era la definitiva revoca del progetto, di fronte al pericolo di una contaminazione del fiume Tambo e delle acque sotterranee e di consistenti danni alla produzione agricola.

Ma, di fronte al rischio di una completa paralisi dell’attività economica della regione, è arrivata intanto, in attesa di una decisione finale, una sospensione di 120 giorni dell’autorizzazione concessa alla compagnia.

«Ci sono abitanti che si oppongono – ha dichiarato il ministro dell’Energia e delle miniere Francisco Ísmodes – ma dobbiamo capire come fare per evitare che si dica “no” alla riduzione della povertà e alla creazione di posti di lavoro».

Che è poi l’argomento di tutti i governi latinoamericani di destra e di sinistra per giustificare la nuova e ancor più devastante corsa all’oro rappresentata da quel processo di appropriazione dei beni comuni e delle risorse naturali noto come modello estrattivista.

Tanto più in un Paese come il Perù – terzo produttore di rame del mondo e sesto di oro – in cui, dal 2009, il 61% dei proventi delle esportazioni è costituito proprio dai prodotti minerari e in cui il governo ha annunciato 48 nuovi progetti, con investimenti internazionali pari a 60 miliardi di dollari.

Le conseguenze di tale modello, i peruviani le conoscono fin troppo bene, fotografate nel modo più spietato dalla miniera a cielo aperto di Cerro de Pasco, gestita da una filiale della Volcan Compañía Minera: un’infernale piramide a gradoni rovesciata larga quasi tre chilometri che sta letteralmente risucchiando la città, minacciando di farla sprofondare e intanto avvelenando con il piombo i suoi abitanti.

Ma in un Paese in cui oltre il 20% del territorio nazionale è coperto da concessioni minerarie di varia natura, i peruviani hanno imparato altrettanto bene a lottare. E qualche volta sono riusciti a vincere.

È il caso, per esempio, della lotta contro il mega progetto minerario di Conga, a Cajamarca, promosso dalla Yanacocha, la prima impresa di estrazione dell’oro in Sudamerica, sul cui curriculum risalta, tra molto altro, il devastante sversamento di mercurio a Choropampa, nel 2000, costato la vita a oltre 70 persone, e rimasto impunito.

Un progetto, sospeso nel novembre del 2011 in seguito alle proteste della popolazione, che minacciava di distruggere le riserve d’acqua dolce della regione e di produrre danni irreversibili all’ecosistema del bacino del fiume Marañón, un importante affluente del Rio delle Amazzoni.

O è il caso della lotta di Máxima Acuña, premio Goldman per l’ambiente 2016, che, proprio contro la potente Yanacocha, è riuscita a difendere la sua proprietà di 25 ettari di terreno, ottenendo nel 2017 l’assoluzione definitiva dall’accusa di aver usurpato i terreni.

Una resistenza, la sua, ostinata ed eroica come quella del vecchio Fortunato nel capolavoro di Manuel Scorza Rulli di tamburo per Rancas, pronto a combattere fino alle estreme conseguenze il «Recinto» della compagnia americana Cerro de Pasco Corporation, serpente orrendo impegnato a inghiottire una dopo l’altra le terre dei comuneros delle Ande peruviane.

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