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Perché la scomparsa dell’Amazzonia ha a che fare con quella di Venezia

Perché la scomparsa dell’Amazzonia ha a che fare con quella di VeneziaDavi Kopenawa – Ap

Una foresta (e una città) da salvare È la passione per le merci ad alterare il clima e a insidiare la biodiversità. E la terra si sta vendicando. Il punto di vista degli sciamani yanomami sbarca in Laguna con il cinema di Morzaniel Ɨramari, che indica un modo radicalmente diverso di stare in questo mondo

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 settembre 2023

Secondo gli scienziati, si è conclusa una delle estati più calde che l’emisfero settentrionale abbia mai visto in oltre 120.000 anni. L’aumento di 1 grado e mezzo nella temperatura del pianeta è arrivato molto più rapidamente di quanto previsto dalla scienza, così come l’incredibile aumento della temperatura degli oceani. È ciò che alcuni scienziati chiamano Antropocene – la nuova era geologica alterata dalle azioni umane -, il futuro rubato ai nostri figli e nipoti, come ci avverte Greta Thunberg. Un mondo al collasso per le azioni della nostra stessa specie. E anche Venezia, meravigliosa città sull’acqua che è qui da 16 secoli, è più che mai vulnerabile e minacciata da questo nemico che noi stessi abbiamo creato: il cambiamento climatico.

Non a caso, è all’ultimo Festival del cinema di Venezia che si è aperta una porta verso l’Amazzonia con l’opera di Morzaniel Ɨramari, mio amico e collega da 16 anni, con cui ho condiviso lunghe camminate attraverso le foreste e le città di tutto il mondo.

Il cinema è qui un portale per conoscere e immaginare nuovi mondi, poiché è urgente ripensare e reinventare l’esistenza su questo pianeta, nel caso in cui la nostra specie voglia continuare a esistere qui. E in questo abbiamo molto da imparare dai popoli della foresta. E il cinema può mettere in contatto l’Amazzonia con Venezia, la tecnologia con gli sciamani yanomami.

Davi Kopenawa, il grande capo e sciamano Yanomami, nel suo libro La caduta del cielo dà diversi avvertimenti sulla fine del mondo che stiamo causando. Avverrà quando distruggeremo le foreste, riempiremo il cielo di fumo, scaveremo il suolo della foresta per ottenere minerali e continueremo a produrre ciecamente sempre più merci, mettendo fine alla vita degli Yanomami e di tanti esseri, umani e non umani, che abitano le foreste del mondo.

Quando ho detto a Davi Kopenawa che saremmo venuti a Venezia, gli ho anche spiegato il rischio che questa città scompaia, sommersa dalle acque. Lui, come sciamano, mi ha chiesto di portare un messaggio che spera venga preso sul serio: quello che noi chiamamo cambiamento climatico lui lo chiama nella sua lingua urihi a në yuo: è la vendetta della terra. Secondo le parole di Kopenawa, con la distruzione della foresta e la morte degli sciamani anziani, gli xapiri (spiriti invisibili che garantiscono l’equilibrio del mondo), arrabbiati per la distruzione del pianeta, si stanno vendicando di coloro che lo distruggono. David dice che in futuro saremo tutti bruciati o annegati. Ma questo sta già accadendo nel presente e noi lo stiamo osservando. Le persone muoiono bruciate, ridotte in cenere.

Kopenawa dice che abbiamo la stessa origine degli Yanomami, ma ci siamo separati e abbiamo dimenticato l’importanza della foresta, abbiamo smesso di ascoltare i nostri xapiripë. Ascoltiamo solo noi stessi, mentre produciamo sempre più merci, innamorandoci di esse. È questa passione per le merci che porta i non indigeni (noi) a scavare ossessivamente il territorio dove sorge la foresta in cerca di minerali, a distruggerla e bruciarla. È il fumo delle foreste in fiamme e l’inquinamento delle fabbriche e delle automobili che ammala il petto del cielo e, nel rumore delle nostre città, non sappiamo più sognare gli spiriti.

La deforestazione e l’incendio della foresta rilasciano elevate quantità di carbonio nell’atmosfera, il che, come sappiamo, riscalda ulteriormente il mondo, facendo sciogliere i ghiacciai. Ed è questo che causa l’aumento del livello del mare, da cui dipende il futuro di Venezia. Il futuro di Venezia, ma anche dell’intera umanità, dipende quindi dalla difesa dell’Amazzonia, e dall’azione e dal ruolo degli sciamani Yanomami e di tutti gli esseri visibili e invisibili che popolano la foresta e conoscono, prima di tutto, la sua bellezza.

La fragilità che vediamo ora a Venezia è per me una metafora dei nuovi tempi dell’Antropocene: siamo qui oggi sopra una città costruita su grandi alberi. La fondazione originale di Venezia si è sviluppata su enormi tronchi di alberi, che un tempo formavano una foresta ancestrale dall’altra parte del Mar Adriatico. Alberi centenari sono stati abbattuti e portati qui galleggiando sul mare per costruire Venezia. Abbiamo dimenticato che siamo in una città sostenuta da ciò che un tempo era una foresta piena di vita, una foresta in cui forse anche i nostri antenati conoscevano i loro xapiri e potevano ascoltarli. Come dice Davi Kopenawa, il nostro pensiero è pieno di oblio. Dopotutto, è ciò che abbiamo fatto per secoli: abbiamo cominciato a relazionarci con la natura come risorsa. Ed è per questo che la terra si sta vendicando.

Abbiamo sempre pensato che la scienza troverà una soluzione affinché possiamo continuare a vivere comodamente, mentre assistiamo al collasso del mondo attraverso gli schermi dei nostri cellulari. Ma no: è crollato il vecchio paradigma cartesiano che mette la scienza e l’uomo al di sopra di tutto, come una panacea capace di risolvere tutti i problemi che abbiamo creato. La natura ci sta mettendo alla prova. Dobbiamo sapere che non siamo la soluzione per tutto e che il mondo non è al nostro servizio, siamo il virus che sta divorando il pianeta, siamo il problema, non la soluzione.

Dobbiamo cambiare radicalmente il nostro modo di essere e stare in questo mondo. Guardiamo alla foresta, ai popoli della foresta che ci vivono da millenni proteggendola. Gli sciamani del film Gli occhi della foresta di Morzaniel ci dicono qualcosa di radicalmente diverso: ascoltano le voci di ogni albero, del cielo, dei venti, lo spirito delle acque che vive in tutti gli angoli di Venezia. Dimostrano che la terra della foresta qui non è una merce, che c’è un altro modo di relazionarsi con il mondo che non sia quello di distruggere la sua biodiversità.

È possibile essere foresta insieme alla foresta, affinché tutti gli esseri siano uguali. Gli indigeni rappresentano oggi il 6% della popolazione mondiale e insieme proteggono circa l’80% della biodiversità. Dobbiamo cambiare ciò che siamo come società. Come sostiene Mark Fisher, sembra più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo, o un cambiamento radicale del mondo che ci permetta di essere qualcosa di diverso dai consumatori desiderosi di distruggere il pianeta per avere sempre più beni. Ma  dobbiamo assolutamente provare ad ascoltare ciò che l’acqua di Venezia ha da dirci.

Siamo ancora in tempo per garantire un futuro all’Amazzonia e conseguentemente anche a Venezia. Per fare questo, abbiamo bisogno di coraggio e creatività per reinventare il nostro modo di stare al mondo, dobbiamo sapere come essere foresta, come essere montagna, come essere fiume, come essere mare. Dobbiamo ascoltare gli abitanti della foresta, imparare da loro come essere un seme, come essere una foresta e come rigenerarsi. Dobbiamo imparare da chi ha vissuto più volte la fine del mondo, sopravvivendo a processi di colonizzazione molto violenti, segnati da guerre ed epidemie. I popoli della foresta ci insegnano che abbiamo bisogno di resilienza, come un seme che germoglia. Se vogliamo avere un futuro, dobbiamo fare in modo che le foreste rimangano in piedi, dobbiamo smettere di distruggerle. Il futuro, più che mai, è indigeno!

* antropologa e ricercatrice indipendente

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