Non molti – un migliaio – infreddoliti, per lo più silenziosi ma con molti cartelli – Putin-Hitler, Sì alle sanzioni, ma più di tutti Slava Ukraini su sfondo blu e giallo distribuito all’ingresso – timidi anche alla fine quando Carlo Calenda chiude la sequenza di comizi chiamando il canto di Bella ciao: «Noi sì che siamo titolati a cantarla, porcaccissimo Giuda». E la canta, in effetti, dai microfoni ancora aperti, così si sente solo lui.

All’arco della Pace in centrissimo a Milano – all’ora dell’aperitivo si ironizza sui social, che amplificano l’audience scarsetta della manifestazione e rilanciano inquadrature strette della piazza – si ritrovano quasi al completo le delegazioni parlamentarti di Azione-Italia Viva, diverse associazioni di emigrati ucraini, i rappresentanti di +Europa che con Calenda avevano rotto sull’alleanza con il Pd e anche un po’ di esponenti dello stesso Pd.

Ci sono infatti il senatore eletto nel collegio blindato di Bologna Casini, il senatore capofila della corrente degli ex renziani Alfieri (che prima ha fatto «un salto a Roma»), in collegamento il sindaco di Bergamo Gori, in presenza anche se seminascosto e dietro al palco il senatore già «punta di diamante al Nord» (secondo le previsioni di Letta) Carlo Cottarelli, in realtà perdente nel collegio e recuperato grazie al proporzionale. Assai più visibile quella che potrebbe strappargli la candidatura alla guida della regione Lombardia, Letizia Moratti. La già candidata al Quirinale di Fratelli d’Italia, lasciata la giunta a trazione leghista appena quattro giorni fa, è stata così introdotta ai microfoni dal presidente di Azione, Matteo Richetti: «Una donna che Milano la conosce benino e a cui il coraggio non manca». Più immediato Calenda: «Cacchio la Moratti non è certo putiniana».

E sì, perché per Calenda quelli che hanno scelto ieri «l’altra piazza», cioè quelli di Roma, in numero almeno cento volte superiore a Milano, «fanno propaganda per Putin» oppure «non vogliono la pace ma la resa». Sotto l’arco della pace, invece, si tifa guerra «di resistenza», si spinge per inviare altre armi, si dice «niente pace senza giustizia» certo non per citare le pantere nere ma, chissà, «lo diceva Giovanni Paolo II». Per Calenda, alla fine, «è una questione di nerbo». E anche di «coraggio di combattere». Metaforicamente, chiaro.