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Per il governo paga la cooperazione internazionale

Per il governo paga la cooperazione internazionaleIl primo ministro Mario Draghi in parlamento – LaPresse

Guerra L'Italia ha deciso di finanziare il supporto al governo ucraino attingendo anche ai fondi della cooperazione internazionale allo sviluppo

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 20 aprile 2022

Le guerre costano, molto, e finanziarle è sempre stato un grande affare per qualcuno ed un impoverimento per altri, sempre gli stessi. Quella in Ucraina non fa certo eccezione e l’Italia ha deciso di finanziarla attingendo anche ai fondi della cooperazione internazionale allo sviluppo. All’inizio del conflitto, infatti, il Governo ha annunciato che ben 110 milioni di euro sarebbero transitati dai fondi dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) della Farnesina, verso un non ben specificato budget support per il Governo ucraino.

La notizia ha sollevato le motivate proteste delle Organizzazioni della Società Civile (OSC) italiane impegnate non solo in azioni di solidarietà in loco con il popolo ucraino, ma anche che in questi mesi di guerra si sono fatte carico di sostenere, accompagnare, alloggiare, migliaia di profughi nel nostro Paese. Forse per i non addetti ai lavori la cifra potrebbe sembrare relativamente importante, dato che ci si compra a mala pena un F 35, ma il fatto è che questi fondi sono stati tolti ad un budget totale di soli 571 milioni di euro. Per essere ancora più precisi: i fondi in questione sono parte della cosiddetta cooperazione bilaterale, cioè di quelle azioni che l’Italia conduce direttamente nei Paesi partner, e che ammontano a poco meno di 400 milioni, dunque in percentuale un bel quarto, gli altri fondi essendo destinati al multilaterale attraverso il sistema delle Nazioni Unite.

Il colpo è tanto più forte politicamente in quanto quest’anno nella Legge di Bilancio, attraverso un’azione combinata del Forum del Terzo Settore e la lobby delle OSC direttamente coinvolte nelle azioni di solidarietà internazionale ed aiuto umanitario, i fondi erano stati accresciuti di un centinaio di milioni, riprendendo il cammino verso quel famoso 0,7% del PIL che rappresenta la percentuale sottoscritta dal nostro Paese in sede internazionale e che oggi ci vede galleggiare su di uno 0,25, posizionandoci così al ventesimo posto tra i donatori.

E allora, come dice un vecchio proverbio popolare, questa politica di «svestire un santo per vestirne un altro», appare decisamente poco lungimirante se, dall’altra parte, si decide in poche ore di portare il PIL dedicato agli armamenti verso il 2 %.

Ci si sarà chiesti, ad esempio, cosa ha spinto ben trenta Paesi africani ad astenersi dal votare la mozione delle Nazioni unite contro l’invasione russa dell’Ucraina? Alcuni sono gli stessi ai quali stiamo andando a chiedere di fornirci il gas per diversificare gli approvvigionamenti, e si dovrebbe allora sapere che qui la Russia ha per anni fornito non solo armi, ma anche aiuti allo sviluppo, di tipo alimentare ed infrastrutturale, ma non solo.

Verso molti Paesi, insomma, la cooperazione bilaterale, e non solo quella attraverso le Nazioni unite, rappresenta lo strumento migliore per intessere relazioni politiche che poi, al momento del bisogno, possono concretizzarsi in scambi proficui per le due parti. E dunque, anche di fronte ad uno scenario bellico, soprattutto se di dimensioni «glocali» come quello in Ucraina, con pesanti ricadute sugli scenari geopolitici mondiali e non solo continentali, amputare lo strumento cooperazione allo sviluppo appare una scelta di corto respiro, chiusa in un orizzonte che sembra addirittura negare le priorità nazionali nel medio lungo periodo.

Cooperare allo sviluppo significa pianificare, avere delle priorità definite e coerenti con i propri interessi di politica estera, investire nella pace che si costruisce attraverso una più equa ridistribuzione delle risorse su scala planetaria, essere coerenti con gli impegni dell’Agenda 21 per un mondo sostenibile, per dare un futuro a tutti e non solo a qualcuno.

Ma per farlo è necessario avere risorse adeguate. E allora il significato politico di questi fondi stornati e che devono tornare da dove sono stati presi, assume una valenza che travalica la loro quantità per diventare la cartina al tornasole di una visione che sappia includere e non escludere, dialogare e non imporre, convincere e non solo vincere.

L’autore è portavoce CINI (Coordinamento Italiano Ong Internazionali)

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