Per 10 anni, il chavismo parla cinese
Venezuela Conclusi importanti accordi economici con Pechino
Venezuela Conclusi importanti accordi economici con Pechino
Cina e Venezuela stringono accordi economici per altri dieci anni. Ieri, a Pechino, in una riunione di alto livello, le delegazioni dei due paesi hanno ratificato il Piano di sviluppo 2015-2025, sottoscritto lo scorso settembre: con l’obiettivo di sostenere l’Agenda Economica Bolivariana, il progetto di rilancio produttivo e diversificazione dell’economia presentato di recente dal presidente venezuelano Nicolas Maduro. Un piano basato su 14 motori, per sviluppare le potenzialità di un paese ancora troppo dipendente dal petrolio e indietro nello sviluppo industriale. Motori relativi alle aree agroalimentari, farmaceutica, industriale; alle esportazioni che dovrebbero portare nuove entrate in valuta (nell’ultimo anno scese del 66%); sviluppo dell’economia comunale, sociale e socialista; potenziamento del settore degli idrocarburi, della petrolchimica, dell’industria mineraria, del turismo nazionale e internazionale, delle costruzioni, della preservazione delle foreste, sviluppo del settore militare industriale, delle telecomunicazioni e dell’informatica; della banca pubblica e privata.
Oltre all’incontro con il governatore della Banca di sviluppo cinese, Hu Huaibang, la delegazione guidata dal vicepresidente venezuelano di Pianificazione e conoscenza Ricardo Menéndez, si è riunita con 50 imprese cinesi. Per favorire i nuovi investimenti, soprattutto nel settore aurifero e in quello della petrolchimica – fermo restando il controllo a maggioranza dello stato e il rispetto delle ferree leggi di tutela del lavoro – il Venezuela ha istituito delle zone economiche speciali in cui gli investitori potranno ricevere incentivi e sgravi fiscali. Inoltre, sono state istituite anche varie zone di Sviluppo strategico nazionale, nella Faglia petrolifera dell’Orinoco e nelle principali aree di pesca.
«Nel nostro paese l’inflazione raggiunge il 181%, ma gli indici di disoccupazione e di povertà sono le più basse di tutta la nostra storia. Quanti paesi possono dire altrettanto?», ha chiesto Menéndez, assicurando che il suo governo «continua a costruire il potere popolare» e non taglia la spesa sociale: nonostante la grave situazione determinata dalla drastica caduta del prezzo del petrolio e dalla guerra economica delle grandi imprese private, che in questi anni hanno preferito speculare coi dollari intascati a tasso preferenziale che investire nel paese.
Ancora di recente, per riequilibrare un aggiustamento dei prezzi e l’aumento di quello della benzina, Maduro ha nuovamente aumentato salari, pensioni e bonus alimentari ai meno abbienti. Al contempo, in sostituzione del viceministro dell’area economica, Luis Salas, ha nominato quello dell’industria, Miguel Pérez Abad, imprenditore vicino al chavismo e presidente per oltre dieci anni dell’associazione per la piccola e media impresa. Un tentativo di coinvolgere nella ricostruzione quei settori sinceramente interessati allo sviluppo dell’economia nazionale. Un tentativo insufficiente, però, per le destre che governano il parlamento dopo la vittoria alle ultime legislative del 6 dicembre e che invece chiedono il rientro in grande stile del fondo monetario internazionale, i piani di aggiustamento strutturali e le privatizzazioni. E che vogliono cacciare ad ogni costo il presidente.
Intanto, mentre i lavoratori della petrolifera di stato Pdvsa manifestano contro il rischio di privatizzazione, il presidente dell’impresa, Eulogio Del Pino, ha detto che sta cercando di ristrutturare il debito con la Banca mondiale per evitare che l’impossibilità di pagare metta le esportazioni di crudo e le imprese venezuelane all’estero a rischio di embargo. Secondo la rivista Forbes, il Decreto di emergenza economica di Maduro e le misure finanziarie sono arrivate troppo tardi e il default è alle porte. «Nei confronti del Venezuela c’è un blocco finanziario internazionale – ha detto Maduro – ci impongono condizioni capestro per prestarci valuta».
Negli ultimi 10 anni, la Cina ha prestato circa 50.000 milioni di dollari in cambio di petrolio: uno scambio in aumento a fronte della recente diminuzione di quello con gli Usa.
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