Per quanto lontana sia Kiev da Phnom Penh e si trovi, senza dubbio in Europa, la grande partita degli equilibri mondiali si sta giocando in Asia. Benché esibizioni muscolari e un pericoloso braccio di ferro mettano sotto i riflettori la vicenda ucraina, l’alba continua a sorgere a Est. Gli americani se ne sono accorti da tempo ma è con Biden che la guerra con la Cina, iniziata da Trump, sta prendendo velocità. E se la crisi ucraina ha rafforzato le posizioni di uno dei due blocchi contrapposti, si tratta di quello cinese che ci ha guadagnato un maggior partenariato con Mosca, che spera di servirsi di Pechino per tentare una sua riconquista (in salita) dell’Asia.
La filigrana del nuovo scontro tra l’America e l’asse sino-russo lo si può leggere nella riunione a porte chiuse che i ministri degli Esteri di 10 Paesi asiatici hanno tenuto ieri a Phnom Penh, capitale che ha la presidenza di turno dell’Asean, un blocco di Paesi corteggiatissimo da Cina e Usa.

La dichiarazione finale dice poco o nulla se non la riaffermazione del principio di un negoziato tra le parti in Myanmar (Paese escluso dal vertice) e il solito mantra sullo sviluppo economico. Ma al vertice c’era in agenda anche altro: l’avanzata degli americani nel continente, il loro rafforzamento con l’alleanza anglofona dell’Aukus (Australia, Usa, GB) e quella del Quad (Quadrilateral Security Dialogue: Usa, India, Giappone, Australia) sino alla questione dei piccoli arcipelaghi del Pacifico che, con Taiwan, sono il casus belli più a portata di mano per uno scontro con Pechino.

Gli Usa, l’11 febbraio, hanno reso nota la nuova strategia asiatica dell’Amministrazione: sviluppo e prosperità certo, ma soprattutto «una presenza di difesa forte e coerente necessaria per sostenere pace, sicurezza, stabilità e prosperità regionale…. Estendendo e modernizzando tale ruolo e migliorando le nostre capacità di difendere i nostri interessi e di scoraggiare l’aggressione contro il territorio degli Usa e degli alleati e partner. Rafforzeremo la sicurezza indo-pacifica, attingendo a tutti gli strumenti per scoraggiare l’aggressione e contrastare la coercizione». La Rpc è nominata solo una volta. Una settimana dopo, nell’incontro tra Boris Johnson e il suo omologo australiano Scott Morrison dove si è esaltata l’importanza della loro alleanza, Londra ha annunciato un pacchetto da 35 milioni di dollari per la «pace e la stabilità» nell’area, da investire in sicurezza marittima e cybercontrollo in chiave anticinese.

Pochi soldi ma messi assieme all’acquisto di sottomarini nucleari britannici e al budget di 7,1 miliardi di dollari per la Pacific Deterrence Initiative Usa nel Pacifico mostrano che la flessione di muscoli in Asia è forse più sotto traccia rispetto a quella in corso in Europa ma non è meno esplosiva. Ma se in Europa l’allineamento Usa con gli alleati è assodato quanto controverso (dalla freddezza tedesca sull’Ucraina ai movimenti pacifisti e anti Nato nel continente) in Asia sta guadagnando consenso. Lo dice un sondaggio del centro studi Asean al Yusof Ishak Institute secondo cui, benché i Paesi del Sudest continuino a percepire la presenza economica cinese come la principale nell’area, crescono i timori di una sua incontenibile avanzata e crescono le simpatie per la corsa americana a riconquistare spazi.

Nell’ottica asiatica, più che a un univoco sodalizio con gli americani, si guarda a un riequilibrio delle forze da cui poter trarre vantaggi, spiega il sondaggio: davanti a una scelta obbligata però, 8 persone in più dell’anno scorso sceglierebbero gli Usa. E quasi 7 intervistati su 10 temono che il Pacifico diventi un’arena per una guerra in conto terzi. È un quadro da cui la Ue è assente anche se continua a godere di credito e sarebbe vista volentieri come partner importante. Ma, come per l’Ucraina, il Vecchio continente sembra essere solo tra i figuranti di una partita giocata dai colossi.