Smesse le restrizioni adottate per la pandemia e riattivati i procedimenti giudiziari che erano stati sospesi, invece di cogliere l’occasione per una moratoria delle esecuzioni capitali, in molti Paesi del mondo il boia si è rimesso al lavoro. E più alacremente di prima: «Nel 2021vi sono state almeno 579 esecuzioni in 18 Stati, con un aumento del 20% rispetto al 2020». Mentre sono almeno 2052 le condanne a morte emesse in 56 Stati, con un aumento di quasi il 40% rispetto al 2020. Dati registrati da Amnesty international che nel suo report annuale fa notare che, malgrado ciò, «il totale delle esecuzioni registrate nel 2021 è il secondo più basso, dopo quello del 2020, almeno a partire dal 2010». In alcuni Paesi infatti il ricorso alla pena capitale è diminuito, mentre in altri è uno strumento di repressione sistematica. In nessun caso si tratta di questione di giustizia.

E infatti i maggiori numeri di condanne alla pena capitale sono stati registrati «in Bangladesh (almeno 181 rispetto ad almeno 113), India (144 rispetto a 77) e Pakistan (almeno 129 rispetto ad almeno 49)». Mentre tra i Paesi che hanno ripreso ad eseguire le condanne a morte, al primo posto c’è l’Iran, che «da solo ne ha fatte registrare almeno 314 rispetto alle almeno 246 dell’anno precedente e si è trattato del più alto numero di esecuzioni dal 2017». La maggior parte di esse sono inflitte per reati di droga, ma a subire le condanne sono anche «le minoranze religiose, con accuse vaghe quali “inimicizia contro Dio”», e minoranze etniche, come i baluci che costituiscono il 5% della popolazione e il 19% («almeno 61 esecuzioni») delle persone uccise dal regime di Teheran.

Segue l’Arabia Saudita che «ha più che raddoppiato il dato del 2020 e la tendenza è destinata a proseguire nel 2022, considerato che in un solo giorno di marzo sono state messe a morte 81 persone». Esecuzioni in aumento anche in Somalia, Sud Sudan, Yemen, Bielorussia (dove nel 2020 non se ne erano registrate), Giappone ed Emirati Arabi Uniti. Ancora più «significativi» i numeri del 2021 nella Repubblica Democratica del Congo (almeno 81 rispetto ad almeno 20 dell’anno prima), Egitto (almeno 356 rispetto ad almeno 264), Iraq (almeno 91 rispetto ad almeno 27), Myanmar (almeno 86, a causa della legge marziale imposta, rispetto ad almeno una), Vietnam (almeno 119 rispetto ad almeno 54) e Yemen (almeno 298 rispetto ad almeno 269). Ma anche quest’anno, precisa Amnesty, è «impossibile verificare accuratamente i dati in Cina, Corea del Nord e Vietnam». Anche se, afferma la segretaria generale Agnès Callamard, «come sempre, quel poco che abbiamo visto ha suscitato grande allarme».