Pelosi a Taiwan, anzi no. Positiva al Covid-19
Usa-Cina Secondo le indiscrezioni di media taiwanesi e giapponesi Nancy Pelosi avrebbe dovuto recarsi a Taipei. Ma la sua positività al Covid-19 ha portato a un rinvio della missione
Usa-Cina Secondo le indiscrezioni di media taiwanesi e giapponesi Nancy Pelosi avrebbe dovuto recarsi a Taipei. Ma la sua positività al Covid-19 ha portato a un rinvio della missione
«La Repubblica di Cina è uno stato sovrano che non ha bisogno di dichiarare indipendenza». E ancora: «La Repubblica di Cina a Taiwan vuole svilupparsi in un paese più libero, democratico e prospero entro i prossimi tre decenni; così facendo, saremo in grado di discutere da pari con l’altra parte dello Stretto la questione dell’unificazione nazionale quando i tempi saranno maturi». Era l’aprile del 1997 quando Lee Teng-hui pronunciava queste parole di fronte a Newt Gingrich. Lee era il primo presidente taiwanese democraticamente eletto. Gingrich era lo speaker della Camera degli Stati Uniti. Pechino osservava con fastidio e ancora i postumi dell’onta subita dall’invio della flotta americana da parte di Bill Clinton per proteggere Taiwan dopo il lancio di missili che avevano dato vita alla terza crisi sullo stretto.
Domenica, esattamente 25 anni dopo, doveva andare in scena uno storico bis. Secondo le indiscrezioni di media taiwanesi e giapponesi, infatti, Nancy Pelosi avrebbe dovuto recarsi a Taipei. Ma la sua positività al Covid-19 ha portato a un rinvio della missione. L’ufficio dell’attuale speaker americana aveva detto di «non poter confermare né smentire» la visita «per motivi di sicurezza». Come divenuta ormai prassi, le missioni di alti funzionari o politici statunitensi a Taiwan non vengono annunciate preventivamente, ma comunicate. Nel tentativo di abbassare le possibili tensioni con Pechino.
Sì, perché in questi 25 anni è cambiato tutto. A partire dall’assertività di una Cina che, dopo aver risolto la pratica di Hong Kong, vuole affrontare il dossier taiwanese «entro la nuova era». Alla notizia della possibile visita di Pelosi sono arrivate, come prevedibile, dure reazioni da Pechino. In primis dai due più noti portavoce del ministero degli Esteri. «Alcuni ufficiali Usa stanno tentando di provocare la Cina sulla questione di Taiwan», ha dichiarato Hua Chunying, collegando le mosse a quelle sull’Aukus e al tentativo di costruire una Nato asiatica, convinzione cinese che spiega perché il Partito comunista continua a sostenere la propaganda anti americana sul conflitto in Ucraina. «Gli Usa dove vogliono iniziare un conflitto? Quale sarà il prezzo per la regione?». Zhao Lijian ha invece prefigurato «misure risolute ed energiche» nel caso Pelosi metta piede a Taipei.
Hu Xijin, ex direttore del Global Times, è stato come spesso accade il più duro. Ha descritto la possibile visita come «la maggiore provocazione americana dai tempi della visita di Lee negli Usa». Cioè l’evento scatenante dell’ultima vera crisi militare sullo Stretto. Hu ha chiesto misure «senza precedenti» come il blocco dello spazio aereo taiwanese e il passaggio di velivoli dell’Esercito popolare di liberazione direttamente sopra il territorio dell’isola principale del territorio amministrato da Taipei. L’eventuale missione è percepita con questa gravità perché Pelosi è dello stesso partito del presidente Joe Biden, mentre nel 1997 il repubblicano Gingrich era all’opposizione di Clinton. E dunque «quella visita fu più il prodotto di uno scontro politico domestico americano», dice Hu.
Il messaggio mandato a Washington è chiaro: va bene Mike Pompeo che è un vostro rivale (e Biden lo ha sottolineato mandando una delegazione negli stessi giorni della recente visita taiwanese dell’ex segretario di Stato), ma non un esponente politico del rilievo di Pelosi.
La speaker della Camera, prima di risultare positiva al Covid, era già pronta a partire nella giornata di oggi alla volta di Tokyo, dove avrebbe dovuto incontrare il premier Fumio Kishida. Prima di rientrare a Washington si prevedeva la tappa taiwanese, un segnale chiarissimo dell’impegno degli Stati Uniti nei confronti di Taipei e dell’interesse dell’amministrazione Biden sull’Asia-Pacifico. Ancora più significativo perché reiterato durante la guerra in Ucraina, ma passibile di creare nuove turbolenze al già otturato canale di dialogo con Pechino. Eppure, non serve la visita di Pelosi per capire che su Taiwan nessuno ha intenzione di negoziare. Per la seconda volta in poco più di un anno Taipei si trova costretta a rimandare un appuntamento di primo piano. Nel gennaio 2021 era saltata in extremis la visita di Kelly Craft, allora rappresentante americana presso le Nazioni Unite, ufficialmente per la vicinanza con la transizione di potere da Donald Trump a Biden. Nel frattempo, ieri quattro velivoli dell’aeronautica cinese sono stati rilevati nello spazio di identificazione di difesa aerea taiwanese.
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