Pelé, futebol innocente
Sport Addio alla grande leggenda brasiliana del calcio, forte con entrambi i piedi, ha reso la camiseta col numero 10 sinonimo di puro talento mischiando ginga e abilità del samba
Sport Addio alla grande leggenda brasiliana del calcio, forte con entrambi i piedi, ha reso la camiseta col numero 10 sinonimo di puro talento mischiando ginga e abilità del samba
O Rei, il sovrano assoluto del calcio, il volto sorridente del Brasile meticcio, il divo conosciuto in tutto il mondo, ha mandato la palla lassù oltre le nuvole con un suo colpo funambolico e ora se ne è andato per sempre. Con la scomparsa di Pelé, il ragazzo di strada diventato leggenda, si chiude l’età d’oro dello sport più popolare e amato – quella di Maradona, Cruyff, Eusebio, Beckenbauer, Di Stefano, gli dei sfavillanti dell’Olimpo pedatorio – anche se il fuoriclasse dei tanti record si era ritirato dai campi da gioco nel 1977 continuando a fare l’ambasciatore della cultura calcistica mondiale con libri, film, videogames tanto da essere nominato «patrimonio storico-sportivo dell’umanità» nel 2011.
IN UN’EPOCA d’innocenza del futebol, al Mondiale del 1958, la sua fenomenale bravura si espresse con tunnel, dribbling, assist e rapidità felina, mettendo a segno una fantastica tripletta contro la Francia e un gol decisivo contro il Galles. Poi questo teenager di 17 anni fa doppietta nella finale contro la Svezia, con un golazo favoloso, sombrero al difensore e tiro d’esterno di collo destro prima che la palla tocchi terra, anticipando il portiere. Ancora oggi il più giovane calciatore ad aver vinto una World Cup, la perla nera, forte con entrambi i piedi, dotato di una smagliante intelligenza calcistica, quello che ha reso diversa per sempre la camiseta con sopra il 10, il numero diventato sinonimo di puro talento, estro e fantasia. Lo stile di gioco, personale e intuitivo di Pelé con gran repertorio di finte, tecnica sopraffina nel controllo della palla ed estrema agilità rievoca la ginga, l’eredità degli schiavi africani della comunità nera brasiliana, un’espressione gioiosa e popolare, legata alla forte spiritualità, l’abilità dei ballerini di samba mischiata con lo stile di combattimento della capoeira.
PER TUTTA la sua vita agonistica Pelé giocherà con la maglia (bianca) del Santos, dal 1956 al 1974, vincendo 9 scudetti, 7 dei quali consecutivi, 2 coppe Libertadores e 2 coppe intercontinentali e altre coppe minori per un totale di 20 trofei. Quella squadra, soprannominata Os Santasticos (Santos + Fantasticos) col portiere Gilmar, il centrocampista Zito, l’attaccante Pepe andrà in giro per il mondo partecipando a tornei ed esibizioni, onorando il bel gioco e diventerà l’ossatura della nazionale tre volte campione del mondo. In quel primo Mondiale la voglia di rinnovamento del paese fu testimoniata anche dalla nascita e dal successo) della bossa nova, la fusione tra jazz e samba che avrebbe cambiato il corso della musica brasiliana, con tre personaggi – Vinicius de Moraes, Antonio Carlos Jobim e Joao Gilberto – e alcune canzoni indimenticabili dalle armonie sofisticate come Chega de saudade, Desafinado e Garota de Ipanema.
Aveva cominciato da bambino di strada, giocando scalzo con una palla di stracci, Edson Arantes do Nascimento, venuto al mondo a Tres Coracoes (che significa Tre Cuori, «Dove sono nato, dove sono cresciuto, dove ho giocato a calcio – questo ha dato anche a me tre cuori», diceva, ricordando con orgoglio le sue umili origini), area metropolitana di Belo Horizonte, nel 1940, in un’epoca di grande povertà economica e grandi sogni. Il suo soprannome, mai troppo amato, l’ebbe addirittura a sei anni, durante un torneo di pulcini, preso in giro per la sua pronuncia imperfetta (di un portiere tale Bilè). Dalla cattiveria dei bambini alla gioia dei piccoli del pianeta per quel bisillabo facile e leggero. Lo chiamavano Dico gli amici della zona, la piccola cittadina di Bauru, nello stato di Minas Gerais col padre Dondinho, calciatore anche lui, fermato da un infortunio e poi inserviente in un ospedale, che riversò sul figlio tutte le aspirazioni di rivincita insegnandogli a palleggiare col mango, a divertirsi nelle partitelle, a provare rovesciate e funambolismi. Nel 1970, la sua consacrazione totale, in una selecao straricca di talenti, col terzo titolo universale, simboleggiato dal gran colpo di testa su Burgnich, il primo vantaggio dei verdeoro sull’Italia, regolata per 4-1.
Nel 1975, un anno dopo il ritiro, Pelé fu ingaggiato dai New York Cosmos per promuovere la diffusione del soccer nell’America del Nord. Giocò per tre anni, vincendo il campionato nel 1977. Al momento del suo addio ufficiale gli vennero accreditati 1283 gol segnati in carriera (in 1363 partite ufficiali), un altro record straordinario.
QUALCUNO notò che le strabilianti discese di Pelé dribblando due, tre, quattro avversari uno dopo l’altro annunciavano la rivoluzione anticoloniale, l’indipendenza di tante nazioni in lotta dall’Algeria al Vietnam, da Cuba al Ruanda, l’irrompere di nuovi protagonisti sulla scena politica globale. In epoca di immonda guerra in Ucraina, letale pandemia globale, neofascisti a Palazzo Chigi, per ritrovare il buonumore, bisogna rivedere su YouTube le sue acrobatiche magie. Muito obrigado, o rei.
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