Pedofilia in Cile, l’esame del papa
Chiesa Resa dei conti in Vaticano, Francesco convoca 33 vescovi per i casi di abusi coperti e insabbiati. La sterzata della Santa sede dopo «i gravi sbagli di valutazione». Cadranno delle teste?
Chiesa Resa dei conti in Vaticano, Francesco convoca 33 vescovi per i casi di abusi coperti e insabbiati. La sterzata della Santa sede dopo «i gravi sbagli di valutazione». Cadranno delle teste?
Tre giorni a porte chiuse fra papa Francesco e i vescovi cileni, dal 15 al 17 maggio, per affrontare i numerosi casi di pedofilia verificatisi nel Paese andino negli ultimi anni e che hanno avuto come protagonisti decine di preti e religiosi. È probabile che salterà qualche testa: quella del vescovo di Osorno, Juan de la Cruz Barros – il principale imputato -, ma anche quelle di altri vescovi e prelati le cui responsabilità e silenzi complici sono stati evidenziati dalle indagini portate avanti dagli inviati speciali del papa in Cile, monsignor Scicluna (arcivescovo di Malta) e don Bertomeu (della Congregazione per la dottrina della fede).
L’ANNUNCIO della riunione riservata fra Francesco e i vescovi cileni – nell’aria da settimane – è arrivato ieri dalla sala stampa della Santa sede. Il papa, si legge nel comunicato, «richiamato dalle circostanze e dalle sfide straordinarie poste dagli abusi di potere, sessuali e di coscienza che si sono verificati in Cile negli ultimi decenni, ritiene necessario esaminare approfonditamente le cause e le conseguenze, così come i meccanismi che hanno portato in alcuni casi all’occultamento e alle gravi omissioni nei confronti delle vittime». Parteciperanno 31 vescovi in attività (in tutto sono 33) più due emeriti (in pensione), e il papa sarà affiancato dal cardinal Ouellet, prefetto della Congregazione vaticana per i vescovi, il dicastero che sovraintende ai vescovi di tutto il mondo. L’obiettivo è «discernere insieme», spiega il comunicato, «la responsabilità di tutti e di ciascuno in queste ferite devastanti, nonché studiare cambiamenti adeguati e duraturi che impediscano la ripetizione di questi atti sempre riprovevoli. È fondamentale ristabilire la fiducia nella Chiesa attraverso dei buoni pastori» che «sappiano accompagnare la sofferenza delle vittime e lavorare in modo determinato e instancabile nella prevenzione degli abusi».
LA STORIA DEGLI ABUSI sessuali in Cile non comincia oggi, ma è piuttosto vecchia, sebbene sia sempre stata nascosta sotto il tappeto. Ed è stata aggravata dallo stesso Francesco, che evidentemente si è reso conto degli errori commessi e che, dopo aver chiesto pubblicamente scusa, sembra ora intenzionato a correre ai ripari.
Secondo BishopAccountability.org (un gruppo Usa di monitoraggio sulla pedofilia) dal 2000 ad oggi circa ottanta preti sono stati accusati di aver compiuto abusi sessuali su giovani. Lo scandalo però è esploso nel 2011, quando la Santa sede ha condannato don Fernando Karadima, per anni parroco a Santiago, pedofilo seriale colpevole di numerosi abusi su minori. E soprattutto quando papa Francesco ha promosso da ordinario militare a vescovo di Osorno monsignor Barros, “discepolo” di Karadima, da molti accusato (insieme ad almeno altri tre vescovi) di essere stato a conoscenza delle violenze compiute dal suo maestro.
IN CILE, IN PARTICOLARE ad Osorno, è montata la protesta dei fedeli. Francesco non solo non è riuscito a placare le contestazioni, ma anzi ha contribuito ad amplificarle. Prima nel maggio 2017 quando, incontrando a margine di un’udienza in Vaticano alcuni cattolici di Osorno ha detto loro che contro Barros «non ci sono prove» e che i fedeli «non devono farsi prendere in giro da quegli stupidi che hanno montato la vicenda». Poi a gennaio di quest’anno, durante il viaggio in Cile, quando ha ribadito ai giornalisti che contro Barros «non c’è una prova, sono tutte calunnie». Affermazione grave (criticata persino dal cardinale statunitense O’Malley, presidente della commissione della Santa sede contro gli abusi sui minori voluta proprio da papa Francesco), parzialmente corretta durante il volo di ritorno da Lima a Roma ma in maniera maldestra: «La parola “prova” non era la migliore, parlerei piuttosto di “evidenza”».
SUBITO DOPO FRANCESCO deve essersi accorto di averla combinata grossa e così ha inviato in Cile due “investigatori” (Scicluna e Bertomeu) che, dopo aver sentito oltre sessanta testimoni, hanno presentato al papa un dossier che ha ribaltato la situazione. Tanto che ad inizio aprile Francesco ha convocato a Roma alcuni vescovi cileni e ha consegno loro una lettera di mea culpa. «Riconosco che sono incorso in gravi sbagli di valutazione e di percezione della situazione, specialmente per mancanza di informazione veritiera ed equilibrata», ha ammesso il papa, puntando implicitamente il dito contro chi avrebbe dovuto fornirgli notizie autentiche e non l’ha fatto, come il cardinal Errazuriz (membro del C9, il consiglio dei cardinali che sta lavorando con Francesco alla riforma della Curia romana) e il nunzio in Cile, monsignor Scapolo, grande sponsor di Barros. E alla fine di aprile ha ospitato in Vaticano tre vittime del prete pedofilo Karadima, che hanno accolto le scuse di Francesco ma hanno anche detto di aspettarsi ora delle misure severe nei confronti di tutti i colpevoli: i vescovi che hanno coperto gli abusi e i preti che li hanno commessi.
La prossima settimana la resa dei conti in Vaticano con un episcopato cileno più diviso e lacerato che mai.
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