I velocisti si spartiscono cavallerescamente le tappe in questo Giro. E così a Napoli è la volta dell’ex iridato danese Pedersen a bruciare la concorrenza. Tre volate e tre vincitori diversi, in questa edizione ogni sprint è un rompicapo.
Da Napoli si partiva e a Napoli si arriva, tra una marea ininterrotta di persone a bordo strada. In tutto fanno qualche centinaio di metri tra Piazza Plebiscito e il lungomare.

Nel mezzo, il misto mare e monti consueto in questi giorni, con periplo del Vesuvio e poi rotta verso sud dove si recupera, oltre al sole (finalmente) la costiera amalfitana, per la bagarre finale. Approfittando del mangia-e-bevi precedente la picchiata verso il golfo si erano avvantaggiati in cinque, Gavazzi, Quatermann, Delettre, De Marchi e Clarke. Con De Marchi non si correva però il rischio di una fuga nata quasi per onor di firma, come nei giorni precedenti. E infatti sul Picco Sant’Angelo il rosso di Buja non si adegua al tran tran dei compagni, ma prova il forcing portandosi dietro il solo Clarke. Un’impresa appena sfiorata, che si conclude in vista della linea d’arrivo, quando Gaviria, con la sua solita ansia da prestazione, comincia troppo lungo la volata, per essere passato da Pedersen a velocità doppia verso il trionfo a braccia alzate sul traguardo.

Al traguardo arriva pure Evenepoel, dopo una nottataccia causa cadute. Mentre si aspetta il responso di oggi su per il Gran Sasso, si fa in tempo a guardarsi indietro.
Al tempo di guerra Bartali era già Bartali da un pezzo, e si salvò dal fronte, col seguito di leggenda che ammanta i suoi anni da eroe durante il conflitto. Coppi era, evidentemente, un po’ meno Coppi, se il trionfo inaspettato al Giro del ’40 e il record dell’ora del ’42 non lo salvarono dalla partenza per l’Algeria, in fanteria. Fatto quasi subito prigioniero degli inglesi, rientrò a Napoli via piroscafo nel febbraio del ’45, destinato al campo di Caserta.

Lo venne a sapere Gino Palumbo, che dalle colonne de “La Voce” lanciò l’appello «Una bici per Coppi». Risposero in tre, che come racconterà De Sica di lì a poco la bicicletta era merce rara, tra cui un falegname di Somma Vesuviana, dove alla vigilia della tappa si inaugura un monumento al Campionissimo. Fu su quel mezzo di fortuna che il grande airone poté riprendere a volare per la tappa più lunga della carriera, da Caserta alla sua Tortona, per poi planare su tutta l’Italia nei tre lustri successivi.

Assai più breve, sulle stesse strade attraversate ieri dal plotone, il volo di Pantani al Giro del ’97, per via di un gatto che fece strike in gruppo giù dal valico di Chiunzi, nemmeno il tempo di godersi l’odore dei limoni della costiera amalfitana. Storie tese tra cani, gatti e campioni del ciclismo, come ci ha ricordato l’altro giorno Evenepoel.