Cultura

«Pearl», come far brillare una madre scomparsa

«Pearl», come far brillare una madre scomparsa

Scaffale Il romanzo di esordio della poeta inglese Sian Hughes, per Atlantide

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 14 gennaio 2024

Marianne ha otto anni quando capisce la differenza tra «qualcuno» e «qualcosa». Si rende conto che la polizia interrompe le ricerche sulla scomparsa di sua madre proprio dal mutamento repentino di una parola, non è più una donna che cercano ma un cadavere.

L’esordio letterario nel romanzo di Sian Hughes, poeta inglese cresciuta in un piccolo villaggio del Cheshire, ha nel titolo la chiave misteriosa per decifrare quell’abbandono: Pearl (Atlantide, pp. 234, euro 24, traduzione di Clara Nubile) è infatti una fila di perline che Marianne mastica nervosamente strappando la manica del maglione in cui la madre gliele ha impunturate, ed è soprattutto un altro libro. Dopo che la ragazzina apprende della morte materna, comincia a seguire le tracce di quella donna per riportarla a casa. Rovista cassetti e ne indossa vestiti, cercando di tenere con sé il profumo dei grani imbevuti di cannella, sfrega le foglie di erbe aromatiche sulle dita, si procura abrasioni vagheggiando che se avesse sofferto abbastanza sua mamma avrebbe fatto ritorno. Canta, si concentra.

IN QUESTO GIOCO dell’incantamento per sovvertire il tempo, Marianne si imbatte nei libri di sua madre di cui uno, un trattato medioevale, porta appunto il titolo di Pearl. Annotato nelle prime pagine dalla scrittura sbiadita tradotta in inglese moderno, la bambina – che nel frattempo conosce il marchio dell’abbandono con cui sente per la prima volta l’amore – ricopia intere strofe sul quaderno degli esercizi scolastici.

NON C’È MODO DI ACCEDERE ai significati di quanto riscrive eppure c’è quel che riesce ad attirare la sua attenzione. Al termine «consolatio», scritto in maiuscolo, immagina manchi una lettera ma forse si tratta, per chi osserva la scena da fuori, del genere di testo che si dedicava a chi perde una persona cara. Sian Hughes è piuttosto abile a costruire mondi interconnessi tra lingue bambine che sibilano nel grembo del fiume eletto a ultimo giaciglio di una donna che, in vita, prima di tagliare un ramo chiedeva il permesso all’albero. È una delicatezza degli spazi minimali e sottilissimi cui la scrittrice accede grazie alla sua frequentazione con la poesia, con un ascolto misuratissimo del vivente indicibile. Di questo mondo fa parte anche chi muore, gli oracoli e le sapienze antichissime e popolari, gli spifferi che infreddoliscono al buio e annunciano carezze transitorie, i corpi dei bambini e delle bambine che si muovono dentro i loro letti e dormono fino al mattino seguente. Come fa Marianne, che brilla per tutto il romanzo come una perla sopravvissuta alla disperazione.

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