Sotto un cartellone «Kharkiv invincibile» la bandiera ucraina è già a mezz’asta. Oggi è stato proclamato il lutto cittadino per ricordare i 7 morti del bombardamento avvenuto ieri alla tipografia di Osnovyansk, nella zona sud del capoluogo nord-orientale.

Il presidente Zelensky ha dichiarato che «i terroristi russi approfittano delle debolezze del mondo», ovvero, secondo la sua visione, delle mancate forniture di contraerea e del divieto di colpire il territorio russo con le armi occidentali. Ma il problema è alla base, il problema è la guerra. E chi l’ha iniziata, da Mosca, al momento si crogiola sulle dichiarazioni incendiare dell’Occidente.

Segno del fatto che nelle capitali dei paesi della Nato non sanno come gestire questa fase del conflitto in cui i soldati ucraini sono in estrema difficoltà e i civili continuano a morire in quanto «danni collaterali».

Quei sette lavoratori di ieri ne sono l’esempio perfetto, non erano direttamente coinvolti con la guerra ma sono morti perché la loro officina si trovava nei pressi di un deposito dei treni dove, secondo il ministero della Difesa russo, in quel momento si trovavano dei vagoni che trasportavano rifornimenti per l’esercito. Come al solito «l’attacco è stata un successo e tutti gli obiettivi sono stati colpiti», nessuna menzione degli uomini e le donne deceduti a causa di un missile sbilenco o di un artigliere distratto.

MA SE PURE la Casa bianca alla fine dovesse cedere e autorizzare Kiev a colpire oltre la frontiera con i potenti sistemi d’arma made in Usa, cosa cambierebbe? Secondo Zelensky «una capacità affidabile di distruggere i lanciatori terroristici esattamente dove si trovano, vicino ai nostri confini» permetterebbe ai suoi generali di evitare attacchi come quello di ieri. Al momento, tuttavia, cambierebbe poco.

La Russia sta riconvertendo la sua produzione a quella che viene definita «economia di guerra» e il 6,7% del suo Pil è destinato alle spese militari che ormai sono il capitolo di spesa pubblica più importante per il gigante eurasiatico. Se due mesi fa raccontavamo i soldati distrutti sul fronte che lamentavano di poter sparare «un colpo ogni 7-10 di quelli russi», ora non siamo a livelli molto migliori.

Con un flusso massiccio e costante si può puntare a ridurre questa forbice, ma di quanto e, soprattutto, per quanto tempo? Per questo i vertici ucraini sono tutti rivolti a Kharkiv. Ieri il temuto capo dei servizi segreti militari ucraini (Gru), Kyrylo Budanov, ha visitato la regione orientale per «tenere un briefing con gli ufficiali che hanno partecipato alle operazioni di difesa».

Probabilmente è andato a capire cosa serve al fronte e come si potrebbe correre ai ripari in caso la situazione peggiorasse. Sappiamo che il Gru si aspetta un attacco russo dalla regione di Sumy, ancora più a nord di Kharkiv. Sumy negli ultimi giorni è costantemente bersagliata dal fuoco russo e mercoledì una delle centrali energetiche più importanti della regione è stata messa fuori uso. È dunque possibile che il viaggio di Budanov sia in realtà un modo per verificare e dare disposizioni in caso di un nuovo attacco.

QUASI IN CONTEMPORANEA il suo alter ego più esposto, il comandante in capo delle forze armate ucraine Oleksandr Sirsky, ha dichiarato che alla frontiera tra Russia e Ucraina, nella cittadina di Vovchansk, «il nemico è completamente impantanato nelle battaglie di strada». Secondo Syrsky i difensori controllerebbero ancora più di metà del territorio di Vovchansk mentre i russi starebbero cercando di «sostenere nuove operazioni di assalto attive, ma senza successo».

Come molte altre cittadine semisconosciute, Vovchansk sta diventando il simbolo di questa fase della guerra, ma la linea del fronte supera i 1300 km. Gli ucraini temono molto uno sfondamento all’altezza di Kupiansk, a metà tra le regioni di Kharkiv e Donetsk, che potrebbe tagliare in due le linee difensive.

Ma la paura più grande è per Kharkiv. Siamo già a quasi 12mila evacuati, in una città che ha perso già mezzo milione di residenti. Il timore di un nuovo esodo è reale e sui canali Telegram russi diverse analisi insistono sul fatto che la manovra di Mosca punta a creare ancora più scompiglio interno per l’amministrazione ucraina. Più sfollati significano più problemi per il governo centrale e il Cremlino lo sa.

Camminando attraverso i quartieri Shevchenkivsky e Kholodnohirskyi, ieri si potevano vedere degli operai intenti a tappare le finestre dei palazzi bombardati nei giorni scorsi con tavole di compensato. Lì non ci abita più nessuno.

PIÙ A SUD, appena si passa il cavalcavia che sovrasta la stazione di Osnovyansk l’aria cambia odore. Puzza di legno ammuffito, a tratti arriva anche l’olezzo pungente della plastica bruciata e di qualche sostanza chimica. È il risultato dell’improvviso acquazzone che ha bagnato le fiamme sulla tipografia dove al momento dell’attacco si trovavano 50 dipendenti secondo le autorità locali. Per alcuni corpi, carbonizzati, sarà necessario l’esame del dna per scoprirne l’identità.

Tornando verso l’hotel, di fronte all’imponente facciata del palazzo sovietico dell’Amministrazione di Kharkiv in Piazza della Libertà si vede un trono vuoto costruito con resti di ordigni e munizioni saldate. Le code dei missili puntano tutte sullo schienale dove c’è la scritta «Putin figlio di puxxxna» con le «x» al posto delle lettere anche in ucraino.

Quelle piccole censure colpiscono l’occhio perché tutto qui intorno, il palazzo ridotto a uno scheletro, le bandiere a mezz’asta, i cadaveri carbonizzati di ieri e le centinaia di soldati morti ogni giorno sono molto più osceni di una parolaccia eppure nessuno sembra più scandalizzarsi.