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Patto Meloni-Sunak, la guerra ai migranti oltre i confini dell’Ue

Patto Meloni-Sunak, la guerra ai migranti oltre i confini dell’UeIl primo ministro inglese Sunak e Giorgia Meloni – Ansa

Fortezza Europa La premier difende Saied, ma il commissario all’allargamento Varhelyi lo attacca: se non vuole i soldi è libero di restituirceli. La leader FdI «soddisfatta» dal Patto Ue: «Non è vero che siamo isolati». Incontro a margine del vertice di Granada. Sei paesi e la presidente della Commissione von der Leyen

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 6 ottobre 2023

Immigrazione, immigrazione, immigrazione. Per il governo italiano è il tema da mettere al centro di tutti i vertici e le conferenze internazionali. Così Giorgia Meloni ha provato a inserirlo anche in quello di Granada dove ieri si sono incontrati 45 paesi della Comunità politica europea, forum intergovernativo nato nel 2022 su proposta di Emmanuel Macron, e oggi si vedrà in modo informale il Consiglio dell’Unione europea.

Di fronte al No del padrone di casa Pedro Sánchez, secondo la ricostruzione di The Guardian, Meloni avrebbe alzato il telefono per organizzare con l’omologo britannico Rishi Sunak un incontro a margine, cui hanno preso parte anche i primi ministri di Olanda e Albania, Mark Rutte ed Edi Rama; il presidente francese Macron; la leader della Commissione Ue Ursula von der Leyen, che nella sua corsa verso le elezioni europee segue Meloni ovunque: da Tunisi a Lampedusa e, perché no, anche in Andalusia.

«Buona riunione di coordinamento sulla migrazione. Francia, Regno Unito, Italia, Paesi Bassi e Albania si sono impegnate a sostenersi a vicenda per affrontare le sfide della migrazione irregolare, combattere i trafficanti e sviluppare partenariati globali», ha tirato le somme von der Leyen.

Otto i punti programmatici su cui i leader sono d’accordo: sei di questi riguardano il rafforzamento dei controlli di frontiera e la lotta ai trafficanti. Uno il maggiore coinvolgimento di Unhcr e Oim: al primo la premier vorrebbe affidare l’analisi delle richieste d’asilo fuori dalle frontiere europee, al secondo l’aumento dei programmi di rimpatrio volontario direttamente dai paesi di transito. Ultimo punto: lo sviluppo di «partenariati globali in paesi chiave per affrontare le cause profonde della migrazione e sostenere lo sviluppo sostenibile attraverso istruzione, creazione di posti di lavoro e azioni di adattamento al clima».

Finora gli accordi con i «paesi chiave» sono stati sempre e solo declinati in termini polizieschi e repressivi. Piuttosto che medici e ospedali sono stati finanziati muri, motovedette, radar e agenti di confine. Si resta comunque in attesa del più volte annunciato Piano Mattei per l’Africa. Dovrebbe essere presentato a novembre ma sulla sua governance è già in arrivo una norma.

Nel frattempo scricchiola ancora il memorandum con la Tunisia: ieri Meloni, rivendicando di non essere affatto isolata, ha difeso il presidente Kais Saied che nei giorni scorsi aveva definito «elemosina» i finanziamenti Ue. «Parlava alla sua opinione pubblica», ha dichiarato la premier. Di diverso avviso il commissario Ue al vicinato e all’allargamento Oliver Varhelyi, ungherese, che su X ha scritto rivolto ai tunisini: se non volete i 60 milioni che vi abbiamo dato restituiteceli.

Mentre la presidente del consiglio italiana è impegnata a tessere collaborazioni internazionali per fermare i migranti, però, è l’amico Mateusz Morawiecki, primo ministro polacco, a continuare a mettere i bastoni tra le ruote al Patto Ue su immigrazione e asilo, l’accordo quadro che cambierà profondamente il sistema d’asilo europeo e la gestione dei flussi.

Meloni si è detta «soddisfatta» per l’eliminazione dell’emendamento pro-Ong e in generale perché l’Europa sta seguendo una via «più pragmatica» sul tema. Tradotto: nel tragitto verso le europee di giugno la destra-destra sta riuscendo a spostare l’asse verso se stessa su un tema identitatio che per il governo italiano continua a rappresentare un problema. Per Morawiecki, però, quanto sta avvenendo è comunque troppo poco. Il leader polacco ha un problema più grande del voto della prossima estate: tra dieci giorni ha le elezioni politiche nazionali e sulle retoriche di protezione dei confini si gioca la rielezione.

Anche per questo ha promesso di portare in Andalucia il veto sull’accordo europeo. Trattandosi di un Consiglio informale non ha questo potere. Può però incidere sulla dichiarazione finale dei 27 che proprio sul punto immigrazione rischia di creare uno scontro. Oltre alla Polonia anche l’Ungheria è tornata alla carica per stabilire che su quel dossier si decida solo all’unanimità.

Gli sherpa sono al lavoro a oltranza per chiudere la dichiarazione. In mancanza di accordo non ce ne sarà nessuna. Qualcosa di simile era accaduto nel Consiglio, ufficiale, di giugno scorso: alla fine il presidente Charles Michel si trovò costretto a stralciare il capitolo migrazione dalla dichiarazione congiunta. Si dovesse superare lo stallo, oltre al tema più caldo, il documento comune parlerà anche di autonomia strategica ed energetica europea, difesa comune, allargamento.

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