Sul punto, se servirà, il falco del governo Scholz è pronto ad arrivare allo scontro frontale con Bruxelles, cioè con la connazionale Ursula von der Leyen. Il suo messaggio per conoscenza al governo di Roma è inequivocabile: «La proposta della Commissione Ue non soddisfa la Germania. In Europa abbiamo bisogno di finanze pubbliche stabili e di un’economia sostenibile. Non possiamo accettare alcun indebolimento delle attuali regole fiscali», avverte Christian Lindner, ministro delle Finanze e leader del partito liberale.

Doccia fredda per l’Italia che chiedeva non solo maggiore flessibilità sui conti pubblici ma anche più tempo per riportare il debito entro la soglia prefissata dall’Ue. A sentire Berlino il nuovo patto di stabilità da ridiscutere nel 2024 dovrà incardinarsi esattamente sugli stessi stipiti del vecchio: rapporto fra debito e Pil non superiore al 3%; livello di deficit non oltre il 60% del Pil. Come se non ci fossero state la pandemia, la guerra e la crisi energetica; la richiesta della Germania è di tornare alle regole sospese nel 2020. Parametri granitici almeno quanto la volontà del ministro Lindner di rimettere sul tavolo di Bruxelles il totem dell’austerity smontato prima dall’emergenza Covid e poi dall’embargo al gas russo che ha sfondato il budget anzitutto del suo dicastero. Ma il leader di Fdp non è disposto a mollare semplicemente perché politicamente non può cedere. Cinque giorni fa è stato confermato a capo del partito con percentuale bulgara (88% dei voti) eppure Fdp non ferma l’emorragia di consenso provata sia dai sondaggi virtuali che dalle urne reali.

Da quando sono al governo i liberali hanno perso cinque elezioni regionali di fila dopo che l’alleanza con Spd e Verdi ha costretto Lindner a ingoiare rospi che vanno dall’innalzamento del salario minimo al trasporto pubblico a prezzo politico, fino alle recenti rivendicazioni dei sindacati che a suon di scioperi sono riusciti a piegare la confindustria quanto il datore di lavoro statale.

«Lindner è il capo di un partito di sinistra», sbeffeggia il numero uno della Csu, Markus Söder, governatore della Baviera nonché autorevole esponente del partito europeo che accusa il falco delle Finanze di avere allargato fin troppo i cordoni della borsa. Altro brutto segnale per il ministro Giorgetti impegnato a ridiscutere i parametri italiani ma anche una luce gialla sulla consolle del commissario Paolo Gentiloni che deve fare lo sherpa fra Roma e Bruxelles con margini di manovra ridotti davvero all’osso.

Lo spiraglio lasciato aperto da Berlino è questo: «Di positivo c’è che la proposta della Commissione sul rinnovo del patto di stabilità ha posto il punto di partenza della discussione. Però servono aggiustamenti significativi», chiosa Lindner. Tra cui non è prevista la riscrittura delle attuali regole per le procedure di deficit nell’Ue, come immaginano a Roma ma anche a Parigi.

Il motivo, visto dalla Germania, è ben riassunto dalla vox-populi registrata nel sondaggio rilanciato dalla Faz secondo cui due terzi dei tedeschi ritiene la situazione finanziaria del Paese tutt’altro che rosea. «La maggioranza pensa che il governo federale dovrebbe spendere molto meno», è il titolo di ieri del quotidiano di Francoforte, capitale finanziaria della Germania: il primo della mazzetta-stampa ogni mattina sul tavolo di Lindner. Impegnato a frenare i negoziati di Bruxelles ma anche a fermare l’assalto dei colleghi che gli presentano il conto di piani costosissimi: dai rigassificatori del vicecancelliere Robert Habeck al bonus-gas per le famiglie voluto dalla Spd, passando per il maxi riarmo dell’esercito costato 100 miliardi di euro.