L’Onu batta subito un colpo. È in estrema sintesi l’appello che 200 ex funzionari di medio e alto rango delle Nazioni unite rivolgevano ieri al segretario generale António Guterres, «inorriditi» dall’eventualità che di fronte all’immane crisi ucraina l’«irrilevanza» fin qui registrata del più importante organismo internazionale potesse trasformarsi in qualcosa di peggio. Per non «soccombere, seguendo il destino del suo predecessore, la Lega delle Nazioni», l’Onu farebbe meglio ad affrontare la crisi «frontalmente», mettendo in campo le capacità di mediazione e risoluzione dei conflitti che sono o dovrebbero essere la sua «ragion d’essere».

UNA LETTERA DAI TONI FORTI, che spronava Guterres ad assumersi i «rischi» che questa fase comporta. Va bene la risposta all’emergenza umanitaria, dicono i firmatari, ma insieme servono maggiore «presenza politica» e una «strategia chiara per ristabilire la pace a partire da un cessate il fuoco provvisorio». Visitare le zone di guerra, parlare con le parti, trasferire se necessario gli uffici in Europa, più vicino ai negoziati. Cose così.

E Guterres poche ore dopo qualcosa ha effettivamente detto. Condannando la nuova «sanguinosa» offensiva russa e implorando una tregua, uno stop di quattro giorni ai combattimenti in coincidenza con la Pasqua ortodossa. Il cui recepimento è tutto da vedere. Sarebbe come ritrovare una centralità che fin qui è mancata, visto che tutti gli impulsi per condurre le parti a un tavolo sono nati bypassando il Palazzo di vetro. E autonomamente le parti si sono accordate per procedere ieri al quinto scambio di prigionieri ufficiale dall’inizio del conflitto, che ha riportato a casa – fa sapere da Kiev la vicepremier Iryna Vereshchuk -76 cittadini ucraini: 60 militari tra cui una decina di ufficiali e 16 civili.

PER IL PRESIDENTE ZELENSKY e il suo governo è stata un’altra giornata intensa di appelli e contatti internazionali. Poco più che una formalità da sbrigare la richiesta inoltrata al parlamento monocamerale di Kiev per l’estensione della legge marziale di un ulteriore mese, fino al 25 maggio.

Da Mosca sia il portavoce del Cremlino Peskov sia il ministro degli Esteri Lavrov hanno escluso il ricorso ad armi atomiche sul terreno. Chi è vittima in queste ore di quelle convenzionali impiegate nell’escalation di attacchi che infuria sull’est e il sud dell’Ucraina non deve averci fatto troppo caso. Intervistato da India Today, Lavrov è tornato a recriminare sul modo in cui l’Occidente avrebbe usato Zelensky per minare l’implementazione degli Accordi di Minsk, che se fossero stati applicati, dice, non saremmo a questo punto. Ieri è riemerso da un lungo silenzio prodigo di sospetti di congiura anche il ministro della Difesa Shoigu. Per accusare nel 55mo giorno di guerra Washington e i suoi alleati, che fornendo sempre più armi a Kiev «trascinano per le lunghe le operazioni militari russe».

SULLA FOLLIA DELLA GUERRA, dall’interno, è tornato invece Oleg Tinkov, spregiudicato banchiere organico al sistema putiniano ma che per le sue posizioni in Russia è visto ormai come stress-test rispetto alla severità delle nuove leggi che limitano il diritto di critica e informazione sulla guerra. «Il 90% dei russi è contro», ha scritto ieri. Il rimanente 10%? «Idioti». Ma come ce ne sono in tutti i paesi, aggiunge. Qualche motivo per essere triste ce l’avrebbe: la sua banca digitale Tinkoff che aveva il vento in poppa ha sbandato forte dopo l’invasione: azioni a picco, le sanzioni che non lo hanno risparmiato, Forbes che ha certificato il declassamento da miliardario a milionario. Avrà rimpianto i pur grossi problemi avuti in passato con il fisco Usa.

DI AFFARI DA SVILUPPARE per ovviare anche a questo tipo di rovesci economici si è parlato ieri a Pechino, dove il vice primo ministro cinese Le Yucheng e l’ambasciatore russo in Cina Andrej Denisov hanno tracciato un bilancio (più che positivo, con scambi per un valore di quasi 40 miliardi di dollari nel primo trimestre 2022) della cooperazione bilaterale.