Partiti! Il dibattito, i candidati …e il terzo partito di Manchin
Usa Via a una campagna elettorale già scritta, Biden contro Trump. Ma c’è spazio per tutti
Usa Via a una campagna elettorale già scritta, Biden contro Trump. Ma c’è spazio per tutti
Il dibattito fra gli otto (di 14 potenziali) candidati alla nomination repubblicana ha aperto la stagione elettorale delle presidenziali americane per cui si vota a novembre 2024. Col confronto di Milwaukee è ufficialmente iniziata la corsa delle primarie che dovrà selezionare il “nominee” ufficiale del partito. E l’evento ha fotografato l’anomalia del panorama politico americano, a cominciare dal fatto che il predestinato alla nomination, con 40 punti di vantaggio sui concorrenti più vicini, ha disertato il dibattito per concedere invece un’intervista esclusiva al giornalista star della Maga-sfera, Tucker Carlson, in onda sulla piattaforma “X” di Elon Musk. Una mossa per sabotare sia il Gop che la Fox di Rupert Murdoch, con cui non corre più buon sangue. «Discutano pure – ha chiosato Trump – così capisco chi devo prendere come vice».
PROBABILMENTE Trump (che domani sarà ad Atalanta per l’imputazione formale nel quarto processo a suo carico) ha ragione. Sulla carta le primarie, che si svolgeranno fra gennaio e metà giugno del 2024, si preannunciano più del solito una mera formalità per i “predestinati” Trump e Biden. Un esito apparentemente inevitabile, che contrapporrebbe un candidato pluri-incriminato ad un presidente pluri-ottuagenario, contrariamente alla preferenza dichiarata della abbondante maggioranza dell’elettorato.
Il 70% si dichiara contrario alla ricandidatura di Trump (compreso il 44% di repubblicani) e solo un quarto dei democratici vede di buon occhio un secondo mandato Biden. Eppure l’epilogo sembra già scritto. I sondaggi assegnano a Trump oltre il 50% delle preferenze (il suo principale attuale rivale, Ron DeSantis, in caduta libera, registra meno del 20%). Ugualmente Biden avrebbe il 65% dei consensi contro il 15% del secondo classificato, Robert Kennedy Jr.
La redazione consiglia:
I dolori del giovane KennedyLA STORIA delle primarie 2024, e delle successive presidenziali dovrebbe dunque essere quella di Biden contro se stesso (in particolare la propria età) e Trump contro tutti (specie i magistrati e i quattro processi per attività variamente sovversive.) In gioco c’è la tenuta della democrazia americana, ancora sotto l’ombra lunga del primo tentativo di golpe della storia nazionale, e il residuo livore in un movimento trumpista dalle dimostrate tendenze antidemocratiche. Il tutto sullo sfondo di un paese spaccato in due, con la metà degli stati, amministrati da repubblicani che governano come regimi para-autoritari all’insegna di un revisionismo liberticida, e un’altra metà del paese che persegue modelli liberali di ispirazione socialdemocratica.
Le elezioni promettono di esasperare le divisioni ideologiche e razziali e mettere nuovamente alla prova la stabilità della nazione, anche perché si svolgeranno sullo sfondo di quello che Naomi Klein ha definito «il mondo infiammato creato dal duopolio», riferendosi ad un sistema bipartitico in crisi di rappresentatività. Da un lato il partito democratico di era Biden, che declina in chiave keynesiana un liberalismo neoliberista e l’egemonia americana, dall’altro il Gop che strumentalizza in chiave demagogica e “moralizzante” la diffusa rabbia ed impotenza di una massa esautorata.
UN SISTEMA BINARIO contro cui nella storia elettorale americana si propongono regolari ( e regolarmente fallimentari) tentativi di “terzi poli.” A questa categoria appartiene quest’anno un fenomeno anomalo come Robert Kennedy Jr., democratico che si presenta con un’agenda complottista che potrebbe sottrarre voti sia da destra che da sinistra. Vi è poi il candidato presentato dal Green Party, il reverendo Cornell West, intellettuale di Harvard e Princeton di diretta discendenza dal movimento per i diritti civili e già aspro critico di Barack Obama per i compromessi effettuati. West articola una critica climatica, etica ed anticapitalista di evidente appeal per molta sinistra e una sorta di populismo virtuoso e antisistema.
I TENTATIVI di rompere il duopolio politico non sono finora mai riusciti, ma non per questo non hanno influito sull’esito finale. Nel 1992 la candidatura del liberista populista Ross Perot sfiorò il 20% dei voti, costando un secondo mandato a George Bush Sr. In precedenza, nel 1980, il liberista Jon Anderson raccolse appena il 6% dei consensi ma contribuì alla sconfitta di Carter contro Reagan. E nel 2000 l’attivista verde Ralph Nader prese meno del 3% ma ottenne 97mila voti in Florida, lo stato che finì per decidere la vittoria di George Bush su Al Gore per appena 537 voti. E ai democratici è rimasto il dubbio che se la verde Jill Stein non avesse sottratto voti preziosi in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, Hillary Clinton avrebbe potuto essere presidente nel 2016.
La redazione consiglia:
La «people machine» della democrazia UsaSiccome le elezioni potrebbero ancora decidersi in una manciata di stati “in bilico”, per poche decine di migliaia di voti, non è escluso che anche questa volta un West possa fare da “spoiler” a danno di Biden in qualche “swing state”. Potrebbe poi esserci anche un’altra variabile. Un altro possibile “third party” o, in questo caso quarto partito, potrebbe essere No Labels – l’aspirante non-partito che propone il “centrismo estremo” contro le “etichette” politiche.
Esponenti bipartisan del “movimento” sostengono che i partiti “ufficiali” si siano entrambi spostati su posizioni estremiste, non condivise dalla maggioranza degli Americani, proponendo come alternativa un non meglio definito “buon senso.” Su No Labels – tecnicamente un’associazione no-profit, quindi senza l’obbligo di trasparenza cui si devono attenere i partiti politici – grava l’ombra di lauti ed anonimi finanziamenti (ad oggi oltre 70 milioni di dollari) che sembrano provenire in gran parte da ricchi imprenditori.
IL PRINCIPALE volto politico di No Labels è Joe Manchin, senatore del West Virginia, nominalmente democratico, ma che negli ultimi due anni si è comportato come portavoce fedele dell’industria petrolifera ed estrattiva, sabotando diversi disegni di legge ambientalisti di Biden. Secondo diversi osservatori, se prendesse piede (la sua presenza sulle schede non è ancora stata ufficializzata) il movimento si profila come siluro “confindustriale” per favorire l’elezione di Trump. E un ulteriore elemento destabilizzane in un’elezione che si preannuncia fra le più imprevedibili e cruciali.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento