È cominciata all’una di notte di venerdi mattina la resa dei conti tra il nuovo presidente Ranil Wikremesinghe e la piazza, occupata da mesi da migliaia di persone di tutte le età dietro lo slogan GotaGoGama: l’invito al presidente e allo stesso Ranil perché si dimettessero. I dimostrati che da mesi si sono accampati a Galle, una zona di Colombo prospiciente il mare, e che avevano creato sit-in anche davanti al segretariato della presidenza, si sono visti sgomberare con violenza da una marea di poliziotti e militari proprio nel giorno in cui avevano fatto sapere che avrebbero liberato parte dei siti occupati. Ranil Wikremesinghe, ex premier ora presidente e a cui la protesta ha incendiato la residenza e occupato gli uffici, ha deciso che lo stato di emergenza doveva avere un seguito che restituisse legittimità alle istituzioni. Con la forza. Qualcuno è stato picchiato, nove sono stati arrestati. Corale la protesta non solo dei dimostranti ma anche di avvocati, parlamentari, delle Nazioni Unite e persino di alcune ambasciate. I manifestanti non hanno reagito – o non hanno potuto farlo – ma è difficile pensare che finirà qui.

Intanto da ieri c’è anche un nuovo premier – Dinesh Gunawardena – , entrato in carica con un nuovo gabinetto temporaneo di 18 membri. Se Gunawardena è considerato un progressista, alla Difesa c’è il generale Kamal Gunaratne, nominato su quello scranno da Gotabaya Rajapaksa (l’ex presidente fuggito a Singapore) nel 2019. Una continuità che ha forse permesso a Ranil di agire rapidamente contro la protesta.

La crisi nello Sri Lanka ha origini lontane e certamente si deve alla spregiudicata attività della famiglia Rajapaksa di cui Wikremesinghe è stato a lungo uno dei maggiori oppositori. Basti ricordare che fu premier durante i due gabinetti Sirisena, l’uomo che aveva sconfitto Mahinda Rajapaksa nelle elezioni del 2015 (salvo poi ripescarlo). Tra i tanti errori della famiglia Rajapaksa c’è quello di aver imposto ai contadini srilankesi il passaggio a un’agricoltura completamente organica i cui effetti nefasti sono stati descritti nel maggio scorso dalla stampa internazionale. Ma la scelta non era dettata, come media anche italiani hanno argomentato, da un eccesso di ecologismo intellettuale bensì dal fatto che, per tentare di mettere una pezza alla valanga del debito in arrivo, la famiglia Rajapaksa aveva vietato (aprile 2021) l’importazione di fertilizzanti e pesticidi. Divieto che comprendeva anche altri generi di prima necessità. Questa sorta di conversione obbligata avrebbe anche potuto funzionare, come hanno spiegato autorevoli ambientalisti (e come sa chi coltiva un orto biologico), se lo Sri Lanka si fosse preparato per tempo. Un buon sistema di compostaggio, con scarti biologici che normalmente vengono bruciati o interrati, può produrre un ottimo concime che ha però tre svantaggi. Il primo è che mettere in piedi dall’oggi al domani un sistema cosi complesso su scala nazionale richiede almeno uno o due anni di tempo. Il secondo è che il compost ha un rilascio tardivo. Il terzo infine, che richiede una “sapienza”, ossia un sistema per esempio di rotazione delle colture. Il contrario della monocoltura che esige sempre maggior dosi di fertilizzanti e pesticidi e che lascia il terreno praticamente sterile.

Su un altro elemento c’è una discreta confusione: la “trappola del debito”cinese. Secondo Pechino l’indebitamento dell’isola verso la Cina equivale solo al 10% del totale. Potrebbe arrivare al 12-13% in realtà se si considera che il debito totale è di circa 50 miliardi di dollari e l’esposizione coi cinesi è di 7. Ma il restante 85%? Intanto ci sono una serie di investitori importanti come India e Giappone, Stati Uniti o Gran Bretagna. Ma poi ci sono anche una quindicina di miliardi di bond (per la maggior parte in dollari) il che costituisce una trappola che vale il 30% del debito, oltre il doppio di quella dei cinesi che, non a caso, li hanno chiamati “fondi avvoltoio”. Il motivo è semplice: stretto dal Covid, dal calo del turismo, dagli effetti dei tagli sulle tasse di alcuni beni e alla fine dall’impennata dei prezzi per la guerra, lo Sri Lanka ha cominciato a emettere bond sovrani a tassi… da avvoltoio. Altro che trappola cinese. Il trappolone l’hanno ordito in tanti (cinesi compresi) e i Rajapaksa ci hanno navigato fino al fallimento del loro Paese.