Il dossier migranti finisce per condizionare anche le scelte su quali Paesi possono entrare o meno nella zona Schengen, l’area di libera circolazione tra Stati dell’Unione europea. E così ieri, durante il vertice dei ministri dell’Interno dei 27, i rappresentanti di Austria e Olanda hanno potuto mettere il veto all’ingresso di Romania e Bulgaria, accusate di effettuare controlli troppo poco accurati ai propri confini permettendo l’arrivo di migranti. Via libera unanime, invece, all’ingresso della Croazia che dal prossimo primo gennaio potrà abolire i controlli alle persone alle frontiere terrestri e marittime con gli altri Paesi dell’area Schengen, e dal 26 marzo 2023 anche alle frontiere aeree.

Sempre dal primo gennaio è previsto anche l’ingresso della Croazia nell’eurozona.
Da dieci anni non si registrava un allargamento dell’area Schengen e ieri il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas si era detto ottimista sulla possibilità che tutti e tre i Paesi candidati potessero ottenere il via libera unanime. «Croazia, Romania e Bulgaria sono tecnicamente pronti a entrare in Schengen – aveva spiegato -, hanno fatto tutto quello che abbiamo chiesto loro e anche di più: i dubbi rimanenti sono di natura politica. Spero quindi che il buon senso prevalga». Non è andata così, e alla fine Schinas ha dovuto prenderne atto: «Oggi è una giornata di delusione per Romania e Bulgaria ma i nostri sforzi non si fermeranno qui. I leader si incontreranno la prossima settimana. Bisogna trovare una via d’uscita».

Difficile che Austria e Olanda possano ora cambiare opinione in così breve tempo, anche perché da settimane si conosceva la contrarietà di entrambi i Paesi verso Romania e Bulgaria. Ma quanto accaduto ieri dimostra ancora una volta come la questione migranti continui a dividere l’Europa e soprattutto come, al di là delle dichiarazioni di circostanza, le possibilità che la linea dura adottata dall’Italia verso i migranti e le navi delle ong possa portare ai risultati sperati dal governo Meloni. Questo anche se ieri, al vertice di Bruxelles al quale ha partecipato anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, è arrivato l’ok all’inserimento nel Patto sulle migrazioni del principio politico sull’equilibrio tra la solidarietà e la responsabilità degli Stati. Più di un Paese avrebbe però messo le mani avanti ricordando l’obbligo di far sbarcare quanti vengono salvati nel Mediterraneo dalle navi delle ong. Esemplare, in questo senso, quanto detto a margine del vertice dal ministro delle Migrazioni della Svezia, Paese che dal primo gennaio assumerà la presidenza di turno dell’Unione: «A livello tecnico abbiamo visto importanti passi avanti nel corso della presidenza ceca e noi continueremo in questa direzione – ha affermato Maria Malmer Stenergard -. Allo stesso tempo, nell’ambito dei lavori sul Patto, dobbiamo far sì che il sistema di Dublino funzioni e che i migranti vengano registrati e questo è un punto su cui la presidenza svedese lavorerà».

Insieme a Germania, Francia, Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Lussemburgo e Belgio, la Svezia è uno dei Paesi che pone la questione dei movimenti secondari, ovvero degli spostamenti dei migranti all’interno dell’Unione europea dopo l’arrivo nei Paesi d’ingresso come l’Italia, che stando alle regole del trattato di Dublino hanno l’obbligo di registrare le persone. E come se non bastasse, in serata da Parigi è arrivata la conferma che lo scontro che si è aperto con Roma sul caso Ocean Viking non si è affatto chiuso. «I nodi con l’Italia restano aperti», ha fatto sapere una fonte dell’Eliseo. «Non abbiamo visto, in ogni caso fino a questo punto, modifiche nella posizione delle autorità italiane sull’applicazione del diritto dello Stato di bandiera. Noi consideriamo che il diritto richiami la responsabilità primaria degli Stati della zona Sar». Oggi la premier Giorgia Meloni sarà in Spagna, ad Alicante, per il vertice del Paesi del Mediterraneo al quale parteciperà anche il presidente Macron. Difficile però che i due potranno incontrarsi. Sempre l’Eliseo, infatti, ha tenuto a precisare che almeno fino a ieri sera non era previsto alcun bilaterale.