«La cultura russa è di una bellezza, di una profondità molto grande e non va cancellata per problemi politici». Papa Francesco, nella conferenza stampa sull’aereo che ieri lo ha riportato a Roma dalla Mongolia dopo il suo viaggio apostolico, è tornato sulla polemica scoppiata in seguito alle sue parole rivolte ai giovani cattolici russi a fine agosto – aveva citato l’eredità culturale della «grande Russia» e Kiev lo aveva accusato di «propaganda imperialista» (v. il manifesto del 30 agosto) – per precisare il senso del proprio intervento e liberarlo da ogni ambiguità.

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Ai giovani russi «io ho detto di farsi carico della loro eredità» e di «non comprarla altrove», perché «l’eredità russa è molto buona e molto bella nel campo delle lettere, della musica, dell’arte», ha spiegato Bergoglio, rispondendo alla domanda dell’Ansa.

Poi ha anche ammesso di non aver usato un’espressione «felice» quando aveva parlato della «grande Russia di Pietro I e Caterina II» («è stata un’aggiunta che mi è venuta in mente perché l’avevo studiato a scuola»), ma «non pensavo all’imperialismo», anzi «la trasmissione della cultura mai è imperiale, è sempre dialogante, e parlavo di questo». Polemica chiusa, forse.

Invece a una domanda su un possibile futuro viaggio in Vietnam – che al momento non è nemmeno in programma –, Francesco ha risposto apparentemente con una battuta: «Sul viaggio in Vietnam, se non andrò io, di sicuro andrà Giovanni XXIV».

Parole che però vanno lette in prospettiva: per Bergoglio il prossimo papa non dovrà essere un Giovanni Paolo III o un Benedetto XVII, ma un Giovanni XXIV, ovvero un pontefice che guidi la Chiesa sulla linea del Concilio Vaticano II (convocato da Giovanni XXIII), che invece i suoi immediati predecessori (Ratzinger e Wojtyla) hanno affossato.