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Pandemia Covid, il Pd non si oppone alla commissione d’inchiesta

Pandemia Covid, il Pd non si oppone  alla commissione d’inchiesta

Salute La «Norimberga 2», come la chiamano i No vax, potrebbe ritorcersi contro la destra

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 27 ottobre 2022

La commissione di inchiesta sulla gestione della pandemia che chiede Giorgia Meloni si farà. Le Camere ereditano dalla scorsa legislatura due proposte in questa direzione firmate da Lega e Italia Viva. Un’altra è in arrivo dal gruppo di Fd’I. A sorpresa, ieri in Senato il dem Francesco Boccia non si è opposto: «Facciamola pure – ha detto – ma allora si parli di tutto, anche delle responsabilità delle Regioni del nord». A poker si direbbe «vedo».

In effetti, una commissione d’inchiesta sulla gestione della pandemia per accertare cosa non abbia funzionato ci sta, dopo 178 mila morti di Covid. Ma l’obiettivo della destra è soprattutto politico. La «Norimberga 2» – così la chiamano i No vax – dovrebbe colpire in primis l’ex-ministro della Salute Roberto Speranza, ritenuto l’ideologo dei lockdown e del Green pass deciso da Draghi. Italia Viva punta invece a screditare l’ex-premier Giuseppe Conte e l’ex-amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri, colpevoli di aver affrontato l’emergenza pandemica a colpi di mascherine difettose e ventilatori polmonari non idonei.

Il contributo informativo della commissione però non è chiarissimo. Sulle mascherine rifilate a Arcuri, sui morti da vaccino, come la diciottenne Camilla Canepa deceduta dopo l’iniezione AstraZeneca, e sul disastro delle valli bergamasche di inizio marzo 2020 è già all’opera la magistratura. Una commissione parlamentare non aggiungerà granché al lavoro dei pm. Meloni e Renzi lo sanno. Ma l’occasione di costringere l’opposizione a difendersi dall’accusa di strage, con gogna mediatica assicurata, è ghiotta.

La commissione potrebbe però creare qualche problema nella stessa destra. La gestione fallimentare dell’emergenza non si spiega solo con le decisioni assunte in quei giorni, ma rievoca le negligenze risalenti agli anni precedenti. Solo con il coronavirus già in Italia è diventato chiaro che le Regioni non avevano provveduto alle scorte di dispositivi di protezione e all’aggiornamento dei protocolli operativi, come prescriveva il pur obsoleto piano anti-pandemico. L’impreparazione aprì la strada al virus tra i più deboli, negli ospedali e nelle Rsa, e i più esposti, le centinaia di sanitari che hanno perso la vita. La commissione di inchiesta potrebbe chiamare a risponderne i presidenti di Regione, mettendo in imbarazzo soprattutto la maggioranza visto che la destra governa in tutto il nord. E Boccia sembra averlo capito.

La Commissione servirà anche a marcare una distanza rispetto ai governi precedenti dato che su altri dossier prevarrà la continuità. La stagione dei lockdown e del Green pass rinnegata alla Camera dalla premier era già tramontata quando il governo Draghi è caduto. Fino alla fine dell’anno, la struttura del generale Tommaso Petroni succeduta al commissario Figliuolo si occuperà di somministrare la quarta dose e pure la quinta, già prevista per gli over 80 che hanno ricevuto l’ultima quattro mesi fa. La premier ha preso le distanze solo dal Green pass per i dodicenni di cui, ha detto, «nessuno riesce a spiegarmi quale fosse l’evidenza scientifica». Ma anche questa ormai è acqua passata. In mezzo a banalità sulla sanità di prossimità, dal discorso di Meloni al Senato arriva invece uno zuccherino per i farmacisti: la proposta di «coinvolgere il sistema delle farmacie nell’erogazione di alcune prestazioni» (a spese dello Stato) è un omaggio non casuale alla corporazione che esprime i responsabili della sanità sia di Fd’I che di FI.

La scelta di un tecnico puro come ministro della Salute non suggerisce particolari scossoni nella lotta alla pandemia. Soprattutto adesso che dal Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) di Stoccolma giunge l’allerta per una nuova variante. Si chiama BQ.1 e appartiene al ceppo Omicron: secondo gli esperti diventerà predominante in Europa nella seconda metà di novembre e all’inizio del 2023 rappresenterà l’80% del virus in circolazione. In Italia, dicono le sequenze depositate nelle banca dati Gisaid, è stata rilevata per la prima volta all’inizio di ottobre e a metà mese era già al 13%: segno che il predominio di Omicron 5 è destinato a esaurirsi presto. «È probabile che il tasso di crescita osservato si spieghi soprattutto con la capacità di sfuggire al sistema immunitario», spiegano gli epidemiologi dell’Ecdc. Ma, almeno per ora, la nuova variante non mostra una maggiore pericolosità.

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