L’ex primo ministro pachistano Imran Khan e l’ex ministro degli esteri Shah Mahmood Qureshi ieri sono stati condannati da un tribunale speciale a dieci anni di prigione per aver divulgato documenti riservati, violando il segreto di Stato.

La condanna è stata emessa nel tribunale allestito all’interno della prigione di Adiala, a Rawalpindi, dove entrambi sono detenuti per altri casi. Arriva a 9 giorni da contestate elezioni legislative, colpisce Khan, ex campione di cricket e fondatore del partito Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), e Qureishi, vicepresidente del partito e tra i suoi uomini più fedeli, rendendo ancora più turbolento il periodo pre-elettorale, contrassegnato da scontri di piazza e da quello che i militanti del Pti, a cui è stato negato anche l’uso del simbolo elettorale, denunciano come un tentativo per mettere fuori gioco il partito.

La storia politica del Paese dei puri è appesa a un cablogramma diplomatico riservato, ora sparito, partito dagli Usa e arrivato in Pakistan e reso pubblico, per la prima volta in modo allusivo, da Imran Khan nel marzo 2022. Quando in un comizio ha sventolato un foglio di carta in cui si dava conto del forte incoraggiamento a destituirlo da parte del Dipartimento di Stato Usa, nel corso di un incontro del 7 marzo 2022 con diplomatici pachistani. La sua colpa: la neutralità sull’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, dove Khan si era recato proprio nei giorni dell’inizio del conflitto.

Un mese dopo quell’incontro, l’allora capo di Stato maggiore dell’esercito pachistano, Qamar Bajwa, contesta la neutralità del primo ministro. Pochi giorni dopo, il 10 aprile, Imran Khan viene destituito con un voto di sfiducia. Seguono più di 150 accuse e procedimenti penali, la prigione per un altro caso (con l’accusa di corruzione), insieme all’esclusione da ogni competizione elettorale.

Per Imran Khan è tutto chiaro. Così sostiene in un editoriale scritto dal carcere (grazie all’intelligenza artificiale) e pubblicato il 4 gennaio su The Economist: “È stato l’establishment a organizzare la nostra rimozione dal governo su pressione dell’America, che si stava allarmando per la mia spinta a una politica estera indipendente e per il mio rifiuto di fornire basi alle sue forze armate”. E ancora: “L’establishment – l’esercito, le agenzie di sicurezza e la burocrazia civile – non è disposto a fornire al Pti alcun campo di gioco, tanto meno un campo equo”. Per Khan, “sono stati utilizzati tutti i mezzi per eliminarmi dal panorama politico”.

Tutto regolare e doveroso, replicano i suoi accusatori. A partire dall’ex ministro degli interni Rana Sanaullah, e dall’ex ministro della giustizia Azam Nazeer Tarar, entrambi esponenti di spicco della Pakistan Muslim League (N), il partito di Nawaz Sharif, il tre volte primo ministro rientrato da pochi mesi in Pakistan e per il quale i tribunali hanno revocato di recente le accuse di corruzione. Per loro, la condanna è esemplare, l’uso politico di documenti riservati è evidente, il danno alla sicurezza nazionale enorme.

L’entourage di Imran Khan invita i sostenitori del Pti alla calma. «Il trionfo elettorale sarà la nostra vendetta», ripetono. Ma a beneficiare della condanna di ieri potrebbe essere proprio Nawaz Sharif. Per Khan, avrebbe stretto un accordo con l’establishment militare.