La marcia della pace ad Assisi di domenica scorsa, per il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi, è l’occasione più recente in cui migliaia di persone hanno manifestato in Italia. Negli ultimi due mesi, con una partecipazione popolare oltre ogni previsione, le piazze italiane si sono riempite per cinque grandi proteste.

Ricordiamole: il 7 ottobre «La via maestra» della difesa della Costituzione è stata lanciata da Cgil e 200 associazioni, chiedendo democrazia, pace e tutela dei diritti. A partire dal 28 ottobre la questione della Palestina e della difficile pace con Israele è arrivata in molte piazze. Il 17 novembre c’è stata la giornata principale dello sciopero generale di Cgil e Uil contro la legge di bilancio del governo e la svalutazione del lavoro. Il 25 novembre, nella giornata contro la violenza sulle donne, c’è stata una straordinaria partecipazione, a Roma e in tutta Italia, con l’affermazione della libertà delle donne e il rifiuto del patriarcato. A queste, si è aggiunta anche una piazza «politica», con la manifestazione del Pd l’11 novembre a Roma, per costruire l’opposizione al governo.

Si è trattato di segnali di grande vitalità della società italiana, con manifestazioni molto diverse, che tuttavia condividono un comune disagio, radicato nelle condizioni economiche e sociali di un Paese che vive da anni un declino economico, l’aumento delle disuguaglianze, la discriminazione delle donne.
Siamo un paese che si va impoverendo. Dal 2000 a oggi il Pil pro capite è diminuito del 2% in media. La qualità del lavoro è peggiorata gravemente: due terzi dei nuovi contratti di lavoro sono a tempo determinato o part-time. I salari sono particolarmente bassi a confronto con gli altri paesi europei; nell’industria e nei servizi privati l’80% dei 15 milioni di salariati guadagnava nel 2020 meno di 28 mila euro lordi l’anno.

Con l’inflazione degli ultimi due anni, molti lavoratori dipendenti hanno subito perdite dei redditi reali fino al 15%, visti i ritardi nei rinnovi contrattuali e l’inadeguata indicizzazione dei salari. Le perdite sono state maggiori per chi lavora in modo precario e nei servizi privati. Ma i salari reali cadono da ben prima: tra il 2008 e il 2022 sono diminuiti del 10% mentre in Germania crescevano del 12%. Il risultato è che ora il 12% dei lavoratori italiani è a rischio di povertà, come documentiamo nel volume L’inflazione in Italia, pubblicato di recente da Carocci.

Le disuguaglianze sono sempre più gravi. L’1% più ricco della popolazione adulta possiede oggi un quarto della ricchezza totale, mentre aveva il 17% nel 1995; il 50% più povero ha ora il 3% della ricchezza, contro l’11% nel 1995. Gli effetti dell’inflazione hanno aggravato le disparità di reddito; l’aumento dei prezzi ha riguardato soprattutto energia e generi alimentari, i beni che hanno un peso maggiore nella spesa delle famiglie più povere.

Le disparità nella situazione economica e sociale delle donne sono state documentate da uno studio della Banca d’Italia dello scorso giugno. Il 43% delle donne è oggi fuori dal mercato del lavoro, con una modesta riduzione nell’ultimo decennio; nel Mezzogiorno si arriva al 58%. Nei salari, i divari tra uomini e donne sono del 10% e le disparità sono ancora più forti ai vertici della piramide dei redditi. Nonostante risultati scolastici migliori degli uomini, le donne hanno carriere professionali lente e discontinue. Chi diventa madre è fortemente penalizzata sul mercato del lavoro: ha una probabilità quasi doppia di non avere più un lavoro nei due anni successivi. Gli asili sono disponibili solo per un bambino su quattro, nel Mezzogiorno meno del 15% dei bambini da zero a due anni ha accesso all’asilo.

È questa la radiografia economica di chi ha manifestato in questi mesi in Italia. L’estensione degli scioperi ha le sue radici nel degrado del lavoro e nella perdita di salario.

Nella rivolta delle donne conta l’esperienza vissuta di discriminazione. Ma le due dinamiche si sovrappongono, con le donne che sono le più penalizzate in termini di lavoro e salario.

Declino, disuguaglianze e discriminazione – gli elementi chiave del circolo vizioso che ha caratterizzato il Paese negli ultimi decenni – sono anche i “motori” delle manifestazioni di questi mesi. Investono in modo differenziato classi sociali, uomini e donne, giovani e vecchi, territori diversi, ma rimandano all’esigenza comune di un cambio di rotta. E di un’alleanza sociale per realizzarlo.