Editoriale

Paciolla, poliziotti indagati dopo le «pulizie» dell’Onu

Paciolla, poliziotti indagati dopo le «pulizie» dell’OnuMario Paciolla

Colombia La Procura decide di indagare sugli agenti che hanno permesso alla Missione di Verifica delle Nazioni unite di raccogliere gli effetti personali del giovane italiano e di ripulire il suo appartamento, cancellando eventuali prove

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 4 agosto 2020

La Procura generale della Nazione ha ordinato di indagare gli agenti della Sezione di indagine criminale (Sijin) della polizia di San Vicente del Caguán che hanno permesso a membri della Missione di Verifica dell’Onu in Colombia di raccogliere gli effetti personali del volontario Mario Paciolla e alterare il luogo dove è stato trovato morto il 15 luglio scorso.

UNA VOLTA ACCERTATO che la Sijin è venuta meno al suo dovere di vigilare l’appartamento – nel quartiere Villa Ferro – dove viveva il volontario italiano e che ha agito con negligenza permettendo l’alterazione della scena dei fatti da parte della Missione Onu – si tratta di ostruzione alla giustizia – il procuratore di Florencia ha citato gli agenti responsabili delle procedure iniziali: Yomer José Velandia Casallas, Jesús Alberto Rada Gutiérrez, Carlos Alberto Cerón Anacona e Cristian David Giraldo López.

Tale negligenza ha permesso che il giorno successivo alla morte di Paciolla i funzionari dell’Unità di indagine speciale (Siu) del Dipartimento di salvaguardia e sicurezza delle Nazioni unite, ascritto alla Missione di Verifica, ripulissero il luogo e raccogliessero gli effetti personali dell’italiano. In questo modo si è persa la possibilità di ricostruire i fatti e recuperare nuove prove attraverso la dovuta catena di custodia.

SECONDO L’INVENTARIO trasmesso alla famiglia Paciolla-Motta in Italia, la Missione ha raccolto dal suo appartamento più di sette milioni di pesos in contanti (circa 1.500 euro, ndt), le carte di credito, il suo passaporto, una camera Canon EOS700D con i rispettivi obiettivi, la custodia e la scheda SD, un mouse, una chiavetta usb, un mp3, diverse agende, quaderni, ricevute e fotografie, i suoi vestiti e altri effetti personali.

La collaborazione dell’Onu alle indagini giudiziarie ha visto la presenza durante l’autopsia del responsabile dell’Unità medica della Missione, Jaime Hernán Pedraza Liévano, nonostante non sia un esperto forense.

La Procura ha inoltre ordinato il reperimento nelle prossime ore di alcune prove, tra le quali la dichiarazione di Christian Leonardo Thompson Garzón, responsabile della Sicurezza della Missione dell’Onu a San Vicente del Caguán, che Mario Paciolla ha chiamato il 14 di luglio alle 22, poche ore prima di morire.

Secondo il suo curriculum, che fino a ieri appariva su Linkedin, Thompson Garzón è un sottufficiale ritirato dell’esercito, amministratore aziendale e tecnico in Scienze militari che ha occupato ruoli amministrativi, operativi e dirigenziali tanto a livello nazionale come internazionale e che ha lavorato oltre che per l’Onu anche per società minerarie e di idrocarburi.

HO INVIATO SETTE DOMANDE al responsabile della Missione di Verifica, Carlos Ruiz Massieu, in relazione alle azioni che potrebbero comportare l’ostruzione delle indagini della Procura in Colombia e in Italia, sul destino degli effetti personali di Mario Paciolla e sullo svolgimento della chiamata effettuata a Thompson Garzón.

L’alto funzionario è restato in silenzio e ha delegato la responsabile stampa della Missione, Liliana Garavito, che ha risposto con un breve paragrafo esplicitando la volontà dell’organismo di collaborare alle indagini. Tuttavia, l’atteggiamento dell’Onu sta dimostrando il contrario.

*Per gentile concessione di El Espectador, traduzione di Simone Scaffidi

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