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Ortega sfida il papa, relazioni «sospese» con il Vaticano

Ortega sfida il papa, relazioni «sospese» con il VaticanoLa chiesa di San Jeronimo a Masaya, durante una delle festività formalmente vietate dal regime di Managua – Ansa

Nicaragua Il presidente definito «dittatore» e «squilibrato» dopo i ripetuti attacchi alla Chiesa. In gioco il destino di Rolando Alvarez, il vescovo «amico» di Francesco condannato a 26 anni di carcere

Pubblicato più di un anno faEdizione del 14 marzo 2023

Il compimento del decennio pontificale di papa Francesco è stato scosso in questi giorni dagli eventi in corso in Nicaragua. Tanto da far precipitare i rapporti fra Managua e Oltretevere, assai deteriorati dalla rivolta popolare del 2018 soffocata nel sangue di centinaia di giovani e quando la Chiesa locale tentò invano una mediazione, dopo aver cercato di proteggere i ribelli nei propri templi.

IL GOVERNO DEL PRESIDENTE Daniel Ortega ha annunciato la «sospensione» delle relazioni e «richiesto» alla Santa Sede la chiusura delle rispettive sedi diplomatiche; smentendo ridicolmente che si tratti di una rottura vera e propria. Visto che fu lui stesso ad espellere esattamente un anno fa l’allora nunzio apostolico Waldemar Sommertag.
All’autarca nicaraguense non devono essere piaciuti gli apprezzamenti di “sua santità” della scorsa settimana, quando a un giornalista argentino dell’agenzia Infobae che gli chiedeva di Ortega che aveva affermato che «vescovi, sacerdoti e papi son tutta una mafia» ha così risposto: «Pur col dovuto rispetto non mi resta che pensare a uno squilibrio della persona che dirige; è come se fosse una dittatura comunista o hitleriana…». E dire che Bergoglio era stato fin qui rimproverato per l’eccessiva prudenza osservata nei suoi commenti sul regime orteguista.

IN GIOCO C’È ORA PIÙ CHE MAI l’ingombrante destino del vescovo di Matagalpa, Rolando Alvarez, di cui Francesco si è detto «amico»: condannato a 26 anni di carcere (per terrorismo e tradimento alla patria), si è rifiutato di montare sull’aereo che nel febbraio scorso ha liberato e deportato negli Usa 222 prigionieri nicaraguensi delle più varie tendenze politiche, compresi storici dirigenti del sandinismo. Incredibilmente privati al contempo della nazionalità con altri 94 oppositori già in esilio. E a tutti i dissidenti divenuti apolidi ha offerto recentemente asilo il Brasile di Lula.

LA CHIESA, TANTO PIÙ DOPO la cancellazione della personalità giuridica della Caritas, costretta a chiudere i battenti, non è che l’ultimo anello della catena di annientamento di qualsiasi espressione della società civile nicaraguense. In questi ultimi cinque anni sono state messe al bando oltre tremila fra associazioni, ong ed entità le più disparate e persino irrilevanti che non fossero nell’alveo del clan della famiglia del presidente Ortega e della sua vice (oltre che consorte) Rosario Murillo. Prima ancora era stata azzerata l’opposizione politica con l’arresto dei 7 precandidati presidenziali alla vigilia delle farsa elettorale del novembre 2021. Per non parlare dell’oscuramento della libertà d’informazione.

Ortega, nel suo delirio messianico di potere, ogni volta nei suoi discorsi si richiama a «nuestro dios todo poderoso». Ma è la moglie Rosario a dedicarsi specificamente alla repressione dell’ambiente ecclesiastico incarcerando preti e religiosi, fino a cacciare lo scorso anno le innocue suore di madre Teresa di Calcutta. E ancora minacciando i cattolici con i suoi provocatori inviti a predicatori fondamentalisti stranieri. Proprio lei che si considera l’integralista custode della fede cristiana in Nicaragua, tanto che qualcuno la chiama «la papessa». Mentre dai più viene definita bruja (fattucchiera) per i suoi esorcismi e le decine di anelli che porta alle dita, ognuno contro un malocchio differente.

È stata lei la mandante dell’attentato alla cappella del crocifisso nella cattedrale capitolina nell’agosto 2020. Così come l’organizzatrice, nel marzo precedente, del dissacrante boicottaggio dei suoi scalmanati fedelissimi alle esequie del padre-poeta Ernesto Cardenal, suo detestato concorrente letterario che durante la Rivoluzione Sandinista ricoprì paradossalmente il dicastero della cultura; insieme a ben altri tre preti-ministri: all’insegna dello slogan «entre Cristianismo y Revolución no hay contradicción» (non c’è contraddizione).

MURILLO È STATA L’ARTEFICE del riavvicinamento di Ortega all’arcivescovo di Managua Obando y Bravo, principale nemico interno durante la rivoluzione (che papa Woytjla fece cardinale dopo la sua contestata visita del marzo ’83). Da lui si fecero risposare nella cattedrale in cambio di un appoggio elettorale per il ritorno al governo nel 2007. Fu lei a promuovere immediatamente dopo la legge contro l’aborto in Nicaragua. E oggi si accanisce contro una gerarchia che, salvo il vescovo Alvarez e qualche altra figura minore, francamente non è che si mostri così insidiosa.

L’ultimo provvedimento in ordine di tempo disposto da Rosario Murillo, a nome del tanto sventolato Governo di Riconciliazione e Unità Nazionale del Nostro Nicaragua Benedetto e Sempre Libero, è la proibizione di tutte le processioni nell’imminente Settimana santa; salvo forse quelle di qualche vescovo o sacerdote compiacente.

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