ExtraTerrestre

Oro e miseria nell’Africa occidentale

Reportage Come i grandi colossi estrattivi stranieri saccheggiano, legalmente e in maniera sporca, il sottosuolo tra il Mali e il Senegal . Terre particolarmente ricche del metallo più prezioso e ricercato del mondo

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 10 febbraio 2022

Tra il Senegal e il Mali il sottosuolo è estremamente ricco in minerali, fra questi l’oro, che per i due paesi dell’Africa occidentale rappresenta un pilastro delle esportazioni. Ad occuparsi dell’estrazione ci pensano grandi colossi estrattivi, spesso stranieri. Società britanniche, canadesi, sudafricane e australiane

MA NON E’ TUTTO ORO QUELLO CHE LUCCICA perché l’attività estrattiva su grande scala provoca profondi impatti sociali e ambientali. La grande quantità di materiale smosso durante le operazioni di scavo causa un notevole inquinamento acustico e atmosferico. In questi siti, inoltre, la richiesta d’acqua per i processi estrattivi è enorme. Un ulteriore problema è la contaminazione della falda freatica e dei corsi d’acqua con cianuro e metalli pesanti usati per separare l’oro dalle pietre, sono infiltrazioni che possono continuare anche molto tempo dopo la chiusura delle miniere.

RECENTEMENTE NELLA REGIONE MALIANA di Kayes si è tenuta una marcia organizzata dal consiglio locale della società civile del circolo di Kéniéba per denunciare la presenza di prodotti chimici derivanti dalla ricerca dell’oro nel fiume Falémé (praticata dai cinesi e dai loro alleati locali). La situazione non è diversa nel «paese dell’accoglienza», così è soprannominato il Senegal nella lingua locale wolof. Anche qui il metallo giallo fa gola a diverse compagnie ben «accolte» dall’estero, come la multinazionale canadese Endeavour Mining che possiede il 90% della miniera di Sabodala-Massawa, la più grande del Senegal.

UNA FONTE, CHE PREFERISCE RESTARE anonima, lavora come responsabile della gestione del rischio ambientale per una cava gestita da una grande società estera. Il sito si trova a Kédougou, regione di grande importanza paesaggistica per la presenza del fiume Gambia e del parco nazionale di Niokolo-Koba, patrimonio Unesco. «Noi ci occupiamo dell’estrazione, dopo di che l’oro è trasportato in Svizzera per la raffinazione». L’uomo spiega che la miniera è in funzione 24 ore su 24 e che all’interno la sicurezza è garantita sia da guardie paramilitari che dalla gendarmeria nazionale. Dal suo racconto sembra che dal punto di vista ambientale tutto vada per il meglio. «Lavorare nella nostra miniera è sicuro», dice l’uomo. «I reflui liquidi sono trattati in conformità alle norme ISO 14000 e anche il trasporto dei prodotti chimici avviene in totale sicurezza. Il cianuro, ad esempio, lo acquistiamo dall’Europa e arriva da noi in appositi container scortati da agenti statali».

UN VIDEO SU YOUTUBE REALIZZATO dalla compagnia mineraria decanta i vantaggi per la popolazione, sostenendo che per attenuare l’impatto causato della miniera sono stati realizzati orti comunitari e piantati alberi da frutta. In soldoni, il vostro oro in cambio di cavoli e patate. In queste terre, il tasso di disoccupazione continua ad essere preoccupante, anche se molti sperano di poter beneficiare di una piccola parte della ricchezza locale l’oro per il momento rimane in mano a poche multinazionali. Ne consegue che I giovani preferiscono tentare la strada verso l’Europa o entrare nel pericoloso circuito dell’estrazione illegale.

PER IL MALI, UNO DEI PIU’ IMPORTANTI paesi africani in quanto a produzione d’oro, questo minerale rappresenta il primo bene d’esportazione. Da un lato le miniere industriali, gestite da grandi società straniere, garantiscono una produzione annua pari a circa 65 tonnellate, e dall’altro quelle tradizionali, che possono annoverarne circa 26. Ma la ricerca «informale» o tradizionale dell’oro è un fenomeno in crescita nell’Africa sub-sahariana, e così molte attività vengono trascurate in favore di quelle estrattive, molto più redditizie.

PERCORRENDO LA STRADA che da Bamako porta in Guinea Conakry si trovano vari terreni dove la ricerca avviene ancora artigianalmente: siti abbandonati che non potranno più essere coltivati perché degradati e inquinati e altri in piena attività. Anche se di carattere artigianale, le miniere del Mali si basano su una struttura organizzativa molto articolata. Ai vertici ci sono i proprietari dei pozzi, i capi villaggio e le guide spirituali, consultate per capire quali sacrifici fare prima di cominciare gli scavi. Il lavoro di perforazione spetta agli operai, specialmente maliani e senegalesi, anche se è facile trovare immigrati provenienti dalla Guinea, dalla Sierra Leone o dal Burkina Faso. Per la Camera delle Miniere del Mali l’estrazione dell’oro farebbe vivere più di un milione di persone, ovvero 8o mila famiglie, distribuite in circa 350 siti auriferi.

NEI POZZI I PROPRIETARI VENGONO chiamati patron. Guardie armate proteggono l’area dagli attacchi dei banditi, molto frequenti appena si sparge la voce che è stato trovato un buon filone. Sono i tomboulmas, milizie composte da giovani del posto. Su ogni baracca, pozzo, lavoratore, prostitute comprese, le guardie «riscuotono» una tassa. Ad esempio, a loro spetta l’imposta sulla triste pratica denominata il «piccolo matrimonio», che consiste nell’affittare una donna, con tanto di contratto mensile, a uomini che possono sfruttarla per ogni genere di servizio, dalla cucina alla camera da letto. Per colpa del «piccolo matrimonio» molte ragazze stanno abbandonando la scuola in prossimità dei siti minerari.

PRIMA DEGLI SCAVI AVVIENE LA RICERCA della pista. I tracciatori sondano il terreno in attesa dell’allarme sonoro lanciato dai dispositivi. Al segnale, iniziano le perforazioni, fase chiamata datiguè, il «primo colpo di piccone». Tra gli operai, c’è chi scende nei pozzi (anche fino 60 metri), e chi resta in superficie per tirare su con la corda i compagni in caso di pericolo. Come in un classico western, gli uomini nei cunicoli portano un fiammifero e se questo non si accende avvisano il tiratore di riportarli in superficie. Idem se un pozzo crolla, i tiratori danno l’allarme e le guardie sparano un colpo di pistola in aria per allertare tutti.

NEL PERIODO DELLE PIOGGE molte miniere vengono chiuse perché le gallerie possono cedere sotto il peso dell’acqua, ma spesso i lavori continuano di nascosto e ogni anno si contano i morti. Un proverbio locale recita «l’oro è degli spiriti e gli spiriti hanno bisogno di sacrifici umani, quindi vanno addolciti». Ed è proprio per la certezza di trovare un’abbondante quantità d’oro grazie al sacrificio che in genere le perforazioni ripartono molto più alacremente proprio nei dintorni della zona sinistrata. In questi siti i compiti sono ben ripartiti. C’è chi scava, chi porta l’acqua, chi gestisce le finanze per l’acquisto di materiali e carburante. All’interno delle gallerie ci sono botteghe e ristoranti improvvisati. A Kangaba e a Kéniéba si dice che le persone dentro le miniere siano più numerose di quelle fuori, bambini compresi, come i neonati che accompagnano le madri al lavoro.

OLTRE CHE DALLA TERRA, L’ESTRAZIONE avviene anche dall’acqua. Nonostante il nuovo codice minerario che vieta il dragaggio dei corsi d’acqua per le operazioni di estrazioni, se si naviga il fiume Niger ci si rende conto che il regolamento stenta ad essere rispettato. Ad una cinquantina di chilometri dalla capitale, approfittano della stagione secca quando il livello dell’acqua è ancora basso. I cercatori caricano piccole piroghe di legno con la sabbia raccolta dal fondale, per poi trattarla con prodotti chimici nocivi. Spesso ad occuparsi di questa operazione sono le donne, con i loro bebè legati alla schiena. Parte delle acque di lavaggio ritorna poi nel fiume, dove la gente preparare da mangiare, si pulisce e beve.

IL MERCURIO IN MALI E’ USATO in più dell’80% dei siti artigianali. Dieci grammi di piccole sfere metalliche sono vendute a 1.500-2.000 fcfa, ovvero 2-3 euro. La quantità di mercurio utilizzata in un anno a livello nazionale è pari a 33 tonnellate. Considerando che questo metallo pesante è importato in modo illegale, probabilmente dal vicino Burkina Faso, il suo commercio rappresenta un’altra sporca fonte di reddito. Dopo l’estrazione avviene la spartizione, ma non in parti uguali: la parte più grossa del raccolto spetta ai capi villaggio, ai proprietari dei pozzi auriferi, alle guardie e alle autorità amministrative. Quanto rimane è per i minatori che si appoggiano ai grossisti in loco. L’acquirente iniziale, infatti, vive generalmente nel villaggio minerario ed è spesso il rappresentante locale di un commerciante più grande.

L’ORO VIENE SUCCESSIVAMENTE PORTATO a Bamako dove è venduto alle raffinerie oppure esportato all’estero. Emirati Arabi, India, ma anche Europa, Svizzera. Secondo uno studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ogni anno almeno 20 tonnellate d’oro estratto artigianalmente lascerebbero l’aeroporto internazionale di Bamako per vie illegali.

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