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Oro e miseria, il grande paradosso dello Zimbabwe è intatto

Oro e miseria, il grande paradosso dello Zimbabwe è intattoLa ricerca dei dispersi da parte dei parenti nella miniera di Bindura – Ap

Aumentano il contrabbando e le morti nelle miniere illegali Il 60% della valuta estera che entra nel Paese viene dal mercato aurifero. Ma è un sistema instabile e malato che non è migliorato dopo Mugabe

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 15 dicembre 2020

Nonostante la detronizzazione e la morte di Robert Mugabe il grande paradosso dello Zimbabwe è rimasto intatto. L’avere immense ricchezze minerarie nel sottosuolo e la quasi totale incapacità di sfruttarle a dovere risollevando il paese africano dalla crisi economica è un male ormai cronico, aggravato dalle lotte di potere, dalla corruzione, dall’abusivismo, dall’inefficienza, dalla violenza.
Un settore, quello minerario, tanto instabile quanto ricco: nel settore dell’oro il valore delle sole perdite annuali, dovute al contrabbando, è pari a 1,5 miliardi di dollari. Dal 2013 il mercato dell’oro è sottoposto al monopolio della Banca Centrale attraverso la Fidelity Printers and Refiners (Fpr): prima del sistema monopolistico lo Zimbabwe estraeva 14 tonnellate d’oro ogni anno, una produzione più che raddoppiata nel 2018, quando si estrassero oltre 35 tonnellate.

UNA MANNA DAL CIELO per lo Stato, se non fosse che buona parte della produzione aurifera continua a sparire nel nulla arricchendo sempre gli stessi, a discapito dei lavoratori. Secondo un rapporto della Southers Africa Resource Watch (Sarw) l’attuale sistema di produzione e marketing dell’oro dello Zimbabwe non solo va a discapito dei minatori che nelle miniere lavorano, e muoiono, ma rappresenta anche un’opportunità per riciclare grandi somme di denaro nel sistema di contrabbando di questo metallo, via Dubai (unico mercato cash-for-gold al mondo dal valore di 75 miliardi di dollari l’anno).

Attualmente il 60% della valuta estera che entra in Zimbabwe è legata al mercato aurifero. Il sistema di acquisto centralizzato dell’oro, in Zimbabwe, rende il settore molto produttivo ma instabile, deprime le entrate del governo, scoraggia gli investitori e incoraggia il contrabbando, contribuendo alla chiusura delle miniere industriali e facendo proliferare quelle abusive. Con tutti i problemi, anche di sicurezza, che ne derivano: il 1 dicembre tre operai che lavoravano nella miniera abusiva di Kunyu, nel nord-est del paese, sono morti schiacciati da un carrello mentre da settimane un gruppo di 30 minatori risulta disperso, intrappolato sottoterra nella miniera abusiva di Bindura Ran, a pochi chilometri da Harare, in seguito al crollo del pozzo.

LA MINIERA DI BINDURA non era più operativa e si trovava in stato di abbandono quando i minatori abusivi hanno cominciato a scavare. Il blocco di tutte le attività dovuto al lockdown, imposto a causa del Covid-19, avrebbe aumentato l’estrazione illegale e il contrabbando. Ai tre di Kunyu si sommano altri cinque minatori intrappolati in una miniera a Chegutu, tre dei quali salvati l’8 settembre scorso da altri minatori abusivi in totale violazione di una direttiva governativa che imponeva lo stop alla ricerca dei corpi a causa della pericolosità della miniera.
A queste morti recenti bisogna aggiungere, secondo un rapporto dell’International Crisis Group (Icg), la violenza che ha ucciso centinaia di operai tra il 2019 e il 2020. Violenze tra operai in lotta per un piatto di lenticchie, certo, ma anche da parte di bande criminali, che organizzano veri e propri raid notturni allo scopo di mettere le mani sulla produzione illegale.

SECONDO IL QUOTIDIANO The Standard il collasso dell’economia, ma anche i cambiamenti climatici in un paese a vocazione agricola e altri fattori, hanno costretto oltre 500mila zimbabwani a dedicarsi all’estrazione artigianale su piccola scala per far fronte alle difficoltà economiche. Ma l’oro non è attrattivo solo ai livelli più bassi della società zimbabwana. Ai piani più alti dello Stato sembra essere in corso una vera e propria lotta per il controllo del settore e, di conseguenza, del paese.

I protagonisti sono i primi tre della scala gerarchica nazionale, tutti e tre ex-militari: il presidente Emmerson Mnangagwa, salito al potere con un colpo di stato militare, il suo vice Constantino Chiwenga, ex-comandante delle Forze di Difesa, e il ministro degli Esteri Sibusiso Moyo, ex-generale di alto rango. Ognuno di loro, evidenzia un recente rapporto di Icg , punta a ottenere il controllo dell’industria aurifera e, quindi, della maggiore entrata di liquidità nel Paese. Tutti e tre, esponenti di tre diverse fazioni all’interno dello storico partito Zanu-PF e del governo, sono in corsa per la leadership del partito in vista delle elezioni del 2023 e i minatori abusivi rappresentano una grossa fetta dello zoccolo duro dell’elettorato del partito nel sistema politico clientelare dello Zimbabwe.

IL GOVERNO, DA TEMPO, sostiene di voler regolarizzare l’estrazione artigianale dell’oro così da poter garantire standard di sicurezza più alti per i minatori ma sono in tanti a pensare che l’obiettivo sia solo aggredire i ricchi proventi del mercato illegale. L’obiettivo, secondo il piano strategico lanciato nel 2019, è il raggiungere un’economia mineraria da 12 miliardi di dollari entro il 2023, di cui 4 solamente derivanti dal settore aurifero.

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