La redazione consiglia:
La fretta nel vestitoÈ vero che le canzoni, a volte, le devi ascoltare più volte per apprezzarle, ma questa edizione di Sanremo non brilla per colpi di fulmine (a parte uno), tant’è che quando due sere fa si è esibito il trio Morandi-Ranieri-Albano in tanti abbiamo provato una nostalgia cocente, perché quelli sì erano pezzi, da cantare, ricantare, ballare e che venivano ascoltati anche da quelli che amavano altri generi, altri mondi, altre ricerche, altre sonorità. Insieme, ineluttabile, ci è apparso il dilemma: siamo noi a essere diventati ufficialmente vecchi o è questo festival che non ha saputo tirare fuori il meglio che c’è? O sono i due anni di pandemia ad aver addormentato la verve, le idee, il guizzo creativo? O si è scientemente scelto di virare verso il pop show a tutto tondo anziché puntare soprattutto sulle canzoni?

L’EFFETTO a tutto ciò si vede dalle reazioni. La gente, e i media, parlano più dell’omicidio delle rose perpetrato da Blanco, che peraltro ricalca in modo sospetto il video che accompagna il suo brano, dell’autoreferenziale monologo di Chiara Ferragni, del suo abito finto nude-look che dei 28 cantanti in gara. A tutto ciò si aggiunge un fastidio diffuso, le stonature, perché in tanti hanno stonato, persino la grande Giorgia, e allora ti chiedi se non ci siano problemi di audio e di cuffie, fra i cantanti e l’orchestra, che per un festival della canzone non è un problema da poco.a gente, e i media, parlano più dell’omicidio delle rose perpetrato da Blanco, che peraltro ricalca in modo sospetto il video che accompagna il suo brano, dell’autoreferenziale monologo di Chiara Ferragni, del suo abito finto nude-look che dei 28 cantanti in gara.

E COSÌ SI FINISCE con il concentrarsi sugli abiti, su Paola e Chiara che sembravano due lucci in passeggiata sul palco oltre che le sorelle dei Cugini di Campagna, tanto erano tutti avvolti in una roba che sembrava del domopack. O guardi ammirata le co conduttrici, soprattutto delle due prime serate, che hanno esibito senza sprezzo del pericolo decolleté piatti e ti dici Oh, finalmente due che non si sono gonfiate le tette. O succede che osservi i look dei maschi che fra tagli a scodella tipo Milla Jovovich in Giovanna d’Arco di Luc Besson, camicie fluttuanti su petti efebici, giacche con strappi tenuti insieme da spille da balia, total black sadomaso in pelle nera e borchie, tatuaggi su corpo e faccia, rossetto e unghie finte che sembrano armi bianche, collari da cani, insiemi che non capisci se sono tute o pigiami, fiori all’occhiello, giacche oversize luccicanti, giubbini smanicati tristissimi, completini bon ton e zeppe iperboliche rubano letteralmente la scena alle colleghe, a parte Elodie che con il mantello di penne sopra una tuta trasparente ha smosso gli ormoni di molti spettatori per tutta la notte
Oppure, quando guardi le imbarazzanti performance dalla Dyson lounge, rimpiangi la pubblicità subliminale ché, almeno, quella fa davvero finta di non esserci. E poi i monologhi, bisogna saperli dire, porgere, farli vibrare, sennò è meglio non farli, o inventarsi un’altra forma, e ricordarsi di quello che diceva Angelo Guglielmi, ovvero che la televisione ha un suo linguaggio e quello bisogna trovare, magari inventando qualcosa di nuovo.

TORNANDO alle canzoni, che dovebbero essere il sale di tutta questa faccenda, una che secondo il mio inutile parere spicca sulle altre ci sarebbe e, guarda caso, è fra quelle meno votate dalla sala stampa. Si tratta di Sali, di Anna Oxa. Il testo è potente, parla di falsità che nutre il mondo, di cuori mangiati dall’avidità, di mani prive di dignità, e poi evoca le possibilità dell’umano dicendogli “Sali. Vivrai”. Oxa punta su sonorità ataviche, sporche, primigene. E si veste di nero, senza lustrini, rinunciando al facile acchiappo. Per tutto questo non vincerà Sanremo, ma se ne può fare a meno.