Orbán, voto su misura con la scusa del Covid
Ungheria Il governo, con i pieni poteri per affrontare l’emergenza sanitaria, prepara una nuova legge elettorale per ostacolare ancora le opposizioni
Ungheria Il governo, con i pieni poteri per affrontare l’emergenza sanitaria, prepara una nuova legge elettorale per ostacolare ancora le opposizioni
In piena emergenza Covid-19, il governo ungherese ha avviato le procedure per la modifica della legge elettorale già più volte ritoccata, in passato, sempre a suo favore. In modo tale da rendere difficile un’alleanza tra i partiti dell’opposizione.
La bozza di legge, che sarà presentata prossimamente al Parlamento, prevede che per dar vita a una lista nazionale ci vogliano cinquanta candidati in circoscrizioni uninominali. Un obbligo che minaccia di limitare ulteriormente il già ristretto spazio d’azione delle opposizioni. Alle prossime tornate elettorali potranno presentarsi con non più di due liste, dal momento che le circoscrizioni sono in tutto 106. La soluzione potrebbe essere la costituzione di un’unica alleanza, ma finora i partiti che si collocano in una prospettiva contraria a quella governativa non sono mai riusciti ad arrivare a tanto, soprattutto alle politiche. Si tornerà a votare nel 2022 per il rinnovo del Parlamento e l’esecutivo sta lavorando alacremente per garantirsi nuovi successi alle urne e continuare a guidare il paese con una politica sempre più lontana dagli standard auspicati dall’Ue.
Non basta: c’è un’altra proposta presentata all’Assemblea nazionale il cui obiettivo è modificare la Carta costituzionale nella definizione di «denaro pubblico». Prevede che il patrimonio delle fondazioni e delle compagnie statali non risulti più come tale.
I critici fanno notare che in questo modo il governo Orbán potrà mettere da parte capitali di grande consistenza nelle fondazioni, senza dover dar conto a nessuno. Troppo per i suoi oppositori che trovano sempre più straripante l’arroganza del sistema del premier che tutto controlla. «Orbán inserisce nella Costituzione la libertà di rubare», ha dichiarato il deputato dell’opposizione Ákos Hadházy, uno dei più impegnati a denunciare la corruzione governativa. Fenomeno che negli ambienti ostili all’uomo forte d’Ungheria viene considerato una prassi abituale dell’esecutivo.
Sulle rive del Danubio il governo ha di nuovo pieni poteri per affrontare l’emergenza sanitaria. Poteri che, secondo quanto annunciato dalle autorità agli inizi di novembre, dovrebbero durare novanta giorni. Durante il periodo in questione l’esecutivo può anche abrogare leggi in vigore senza dover interpellare il Parlamento. Un po’ come in primavera, quando erano state introdotte anche pene detentive per chiunque diffondesse informazioni false. La gestione governativa della crisi sanitaria viene comunque criticata da diversi osservatori che considerano ampiamente insufficienti le misure prese. Difatti ristoranti, caffè, negozi, palestre e scuole restano aperti, mentre il virus si diffonde rapidamente e contagia un numero sempre maggiore di persone. A oggi si conta un totale di quasi 132.000 casi, con oltre 5.000 contagi in più fra il 12 e il 13 novembre e 2.883 decessi complessivi (99 in più fra il 12 e il 13). Questi dati assumono una valenza particolare soprattutto se li si mette in rapporto a una popolazione di meno di 10 milioni di abitanti.
Sta aumentando in modo sempre meno sostenibile la pressione sul servizio sanitario, già peraltro provato da carenze strutturali e di organico, tanto da essere ormai vicino al collasso, secondo Tamás Svéd, vicepresidente dell’Ordine dei Medici Ungheresi (MOK). «Fra poco si arriverà al punto che il medico dovrà decidere chi salvare e chi no», ha detto Svéd. Aggiungendo che i letti negli ospedali del paese sono ormai pochissimi, scarseggiano medici e personale infermieristico specializzato, così nei reparti di terapia intensiva lavorano anche dentisti e psichiatri per sopperire alle carenze.
La situazione è molto delicata, ma Orbán non vuole attuare una politica di chiusura degli esercizi commerciali perché «l’economia non può essere fermata e il paese deve andare avanti».
Ha promesso che a gennaio porterà il vaccino russo o cinese. Anche se l’Ue non darà il via libera a questi prodotti, la cui sperimentazione non risulta ancora completata.
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