Viktor Orbán ritorna al punto di partenza: dare via libera agli aiuti europei all’Ucraina a condizione di spacchettarli in diverse tranche da approvare di anno in anno. Il nuovo anno per l’Ue si apre all’insegna dell’ennesimo ricatto del premier ungherese, deciso a proseguire la battaglia sull’assistenza finanziaria a Kiev al centro del prossimo vertice straordinario del 1 febbraio, convocato dopo la débâcle del summit di dicembre quando il bastian contrario d’Europa aveva fatto saltare l’intesa sui 50 miliardi di aiuti proposti dalla Commissione nel quadro della revisione del bilancio europeo.

Non proprio un segnale di distensione quello che arriva da Budapest che insiste su una proposta di compromesso già presentata a dicembre e che conferma ancora una volta la logica che muove le sue mosse: continuare a far leva sul suo potere di veto per reclamare i fondi europei congelati da Bruxelles per le violazioni dello Stato di diritto contestate all’Ungheria. E su un orizzonte temporale più ampio, temporeggiare in attesa delle elezioni europee che potrebbero modificare gli equilibri politici in Ue a suo favore. Una logica cui la Commissione si è piegata quando, alla vigilia dell’ultimo vertice, ha prima staccato un assegno da 900 milioni di euro per il pre finanziamento del capitolo Repower del Pnrr ungherese e ha dato poi una valutazione positiva della controversa riforma della giustizia approvata da Budapest, sbloccando così 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione.

La decisione di palazzo Berlaymont, che non è servita a scalfire l’opposizione di Orbán, ha suscitato anche una forte protesta da parte del Parlamento Ue, tanto da spingere il negoziatore per lo stato di diritto, l’eurodeputato finlandese Petri Sarvamaa, ad avviare in questi giorni una raccolta firme per chiedere la sospensione del diritto di voto all’Ungheria nel Consiglio europeo, in linea con l’articolo 7 del Trattato sull’Ue, la cosiddetta “opzione nucleare” che prevede la sospensione dei diritti di adesione all’Unione in caso di gravi violazioni dei principi su cui si fonda l’Ue da parte di uno Stato membro. La stessa Commissione è corsa ai ripari, lavorando a un piano B, un pacchetto di aiuti a 26 da 20 miliardi di euro, da tirar fuori in caso di una nuova débâcle. «Quello che considerano un piano B è stato il piano A per l’Ungheria», ha commentato sarcastico Orbán. Consapevole però che l’era dei ricatti potrebbe avere il tempo contato.