«Kherson è bellissima, la gente ancora si commuove», racconta Valentina al telefono, un po’ commossa anche lei. Ieri Valentina è entrata per la prima volta nel capoluogo meridionale occupato stabilmente dalle truppe russe a febbraio. Sono trascorsi più di otto mesi da allora e la guerra non accenna a finire, ma per gli ucraini la riconquista della parte occidentale di Kherson è stata fondamentale.

Non solo ha rappresentato un successo strategico cruciale in vista dell’inverno, ma permetterà alle truppe di Kiev di minacciare direttamente le postazioni militari russe in Crimea. Ha dimostrato che le posizioni sul campo di battaglia non sono immutabili. Kherson sembrava un miraggio che gli occupanti avrebbero difeso fino all’ultimo uomo.

E INVECE quegli stessi uomini ora sono stati spostati sulla sponda orientale del Dnipro, sono stanchi, provati da mesi di combattimenti continui, ma vivi. Potranno essere reimpiegati non appena le condizioni lo permetteranno.

Per questo Kherson non è una vittoria definitiva, qui la ritirata russa ha avuto un forte valore strategico che mette al sicuro fino a 30mila uomini oltre una linea sempre più fortificata di barricate e trincee. Tra l’altro ieri c’è stato il secondo attacco missilistico ai danni delle infrastrutture di Kherson ovest e almeno due civili avrebbero perso la vita.

Secondo alcuni analisti la ritirata dei russi ha anche delle implicazioni tattiche: Mosca potrebbe usare la sponda est del fiume per bombardare continuamente l’altra riva in modo da inchiodare i difensori in uno stillicidio d’artiglieria che tenga impegnati uomini e mezzi per tutto l’inverno. I vertici militari ucraini lo sanno, ma ciò che conta di più è il valore simbolico della bandiera gialla e blu che sventola sulla stazione cittadina o sul municipio.

«Per noi è stato come un sogno – continua Valentina – Per mesi abbiamo sentito che era impossibile, avevo diversi amici che vivevano lì, alcuni non li sento più da un po’…spero stiano bene; ma comunque ora sappiamo che la liberazione di tutta l’Ucraina è possibile». E molti dei militari impegnati da mesi in questa tremenda guerra ne hanno tratto nuova energia.

AL NETTO DEI MORTI che per mesi hanno combattuto piccole battaglie tra Posad, Luch e Shevchenkove, dei civili caduti a Mykolayiv, martoriati da bombardamenti quasi incessanti e dalla mancanza d’acqua e – a tratti – di gas e corrente, Kherson è una vittoria perché gli ucraini la vivono così. Di contro, per i russi non può che essere una sconfitta.

«Ero terrorizzata, vivevo in casa quasi tutto il tempo – racconta un’altra donna, Elena – Nel primo pomeriggio le strade erano già vuote anche se il coprifuoco era la sera». Ma lei ha mai subito violenze? «No, non direttamente», risponde Elena aggiungendo che le storie che conosce di violenze dirette sono quasi tutte a danni di uomini, che a volte venivano fermati per essere semplicemente umiliati.

«Un mio vicino di casa è stato fermato qui vicino, l’hanno obbligato a spogliarsi per “controllare se aveva armi”, gli hanno fatto togliere tutto e l’hanno tenuto in strada, così, per almeno un’ora. Ma dove doveva nasconderle?». Delle torture ha mai sentito parlare? «Direttamente no, non mi hanno mai raccontato nulla di simile». Ricordiamo che negli ultimi giorni le notizie, diffuse soprattutto dalla parte ucraina, sulle presunte camere di tortura scoperte nelle zone appena liberate, si sono moltiplicate. Al momento non abbiamo ancora conferme imparziali.

ANCHE perché la preoccupazione principale degli ucraini resta l’inverno. Con la metà delle sottostazioni energetiche distrutte e le città al buio per molte ore di seguito, il freddo diventa sempre più temibile.

«Ieri a Odessa la corrente c’era, ho pensato “che strano”… e infatti nella notte è andata via», racconta Valentina. Gli ucraini continuano a tentare di mettersi al riparo, secondo il primo ministro ucraino Shmyhal il Paese importa 8.500 generatori di corrente al giorno. Ma anche il carburante ha un costo, come le cure mediche per bambini e anziani che sicuramente patiranno di più il freddo. In questo clima di attesa del peggio, per il momento, Kherson resta un’isola felice.