A quasi una settimana dall’alluvione che si è abbattuta sull’Emilia Romagna, la vasta zona segnata da uno scenario che in molti non hanno esitato a definire “di guerra” verte ancora in una situazione critica. Con 43 Comuni tuttora coinvolti dagli allagamenti e 54 dal dissesto idrogeologico (sono circa 300 le frane attive), risultano ancora 26.324 le persone che hanno dovuto lasciare la loro casa (19.500 nel ravennate, 4.918 in provincia di Forlì-Cesena e 1.906 nel bolognese), di cui 5.370 accolte in scuole, palestre e alberghi allestite dai comuni.

ANCHE IL SOLE finalmente arrivato rischia di diventare un ulteriore ostacolo, seccando il fango che ricopre ogni cosa, rendendolo duro come il cemento e difficile da eliminare.

«Abbiamo acqua corrente solo la sera, e noi possiamo ritenerci fortunati, perché molti non hanno neanche quella» racconta Anna di Castel Bolognese accanto alla catasta di porte, mobili e oggetti infangati che fino a pochi giorni fa costituivano la sua cantina. «Di alluvioni ne ho viste da piccolo, ma mai come questa. Non la potremo dimenticare» le fa eco il padre, raccontando come le loro giornate siano occupate dalla pulizia continua di ciò che resta. Anche i bambini qui sono in strada con le pale a raschiare il cortile della loro scuola primaria. I banchi, le sedie, i giochi si sono tinti del colore di tutto il resto: quello dell’argilla, di quel fango che è ovunque e da cui non è possibile non farsi intaccare. In alcune località non si è ancora iniziato a pulire, perché l’acqua è tuttora alta.

Come a Conselice, dove oggi un gruppo di cittadini ha protestato davanti al comune per chiedere la rottura controllata degli argini per agevolarne il defluire, come è stato fatto in altre località e che però qui la sindaca Paola Pula ha escluso per la situazione di fragilità in cui vertono i canali. La tensione è alta ed è chiaro a tutti che i problemi non si risolveranno tanto presto: «Non sappiamo quanto andrà avanti l’emergenza, perché coinvolge un territorio vasto e diversificato, con intere zone per ora inaccessibili dove ci sarà bisogno di nuovi interventi» fa notare Andrea Mora delle Brigate di Solidarietà Attiva (Bsa), una federazione nazionale di brigate solidali dislocate in varie parti d’Italia, nata durante il terremoto dell’Aquila al di fuori del circuito di aiuti istituzionali della Protezione Civile: «Finché ci sarà bisogno noi rimaniamo», afferma deciso mentre svuota il semiinterrato di un edificio nei pressi di Via de Gasperi a Faenza, una delle zone più colpite.

Qui mercoledì l’acqua del Lamone ha raggiunto i 3 metri di altezza e il livello è visibile dalle tracce di melma sui muri. A raccontarlo è Pasquale del movimento per la giustizia climatica Extinction Rebellion, arrivato da Bologna nel week end insieme ad altri 25 attivisti per spalare: «Qui tutti hanno bisogno di aiuto, sono in uno stato la cui difficoltà non è ben percepita da chi vive altrove. Il fatto che alcune persone impiegate fuori vengano richiamate sul posto di lavoro nonostante la situazione in cui si trovano riflette bene quello che gli attivisti ambientali ripetono da tempo: che la crisi climatica colpisce soprattutto chi è già socialmente debole».

L’UNICO DATO CONFORTANTE in questo quadro è quello che riguarda l’ondata di solidarietà che accompagna queste zone. Secondo le stime della Regione Emilia Romagna, sono 5.000 le persone coinvolte nell’assistenza alla popolazione, di cui numerose in forma volontaria. Come le colonne mobili regionali arrivate da Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Alto Adige, Lombardia, Lazio, Toscana, Abruzzo e Umbria e le organizzazioni nazionali di volontariato.

Da Bologna Plat, la Piattaforma di Intervento Sociale nata dalla collaborazione fra diverse realtà critiche della città e la Colonna Solidale Autogestita, che da dopo la pandemia pratica nel capoluogo emiliano il mutuo appoggio e l’autogestione, organizzano partenze giornaliere di volontari verso le terre alluvionate, oltre che la raccolta di materiali utili e un crowdfunfing per l’acquisto di stivali, pale, generatori e pompe idrovore. Intanto, si prova a pensare al dopo: per sabato 27 alle 16.00 le due realtà hanno indetto un’assemblea aperta in Piazza del Nettuno a Bologna su come mettere in atto una ricostruzione responsabile.

«La solidarietà da sola non basta» ricorda Adelaide di Plat, interrompendo il lavoro che sta svolgendo insieme a un’altra cinquantina di volontari a Castel Bolognese: «Va benissimo ora rispondere all’emergenza, ma è chiaro che poi tutto questo dovrà essere analizzato. Qui ci sarà da fare per molto tempo e noi vogliamo mantenere alta l’attenzione: non siamo gli “angeli del fango”, ma persone che cercano di evidenziare che siamo dentro alla crisi climatica da molto tempo. Lo dicevamo a Genova e tutte le volte che c’era un G8. E come eravamo per le strade giorni, mesi e anni fa, siamo qui ora, per dire che forse possiamo ancora intervenire, mobilitandoci».