Onu: «I migranti pretesto per rovesciare Maduro»
Venezuela Rapporto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite: la crisi umanitaria usata per una campagna mediatica contro Caracas. Intanto migliaia di venezuelani fuggiti all'estero fanno rientro a casa
Venezuela Rapporto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite: la crisi umanitaria usata per una campagna mediatica contro Caracas. Intanto migliaia di venezuelani fuggiti all'estero fanno rientro a casa
Che sul Venezuela esista una campagna di disinformazione a livello internazionale il governo Maduro non ha mai smesso di denunciarlo. Ma una conferma autorevole viene ora anche dall’esperto indipendente delle Nazioni unite Alfred De Zayas, il cui rapporto «sulla promozione di un ordine internazionale democratico ed equo» è stato presentato a Ginevra nel quadro della 39a sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu.
Secondo De Zayas, in visita in Venezuela dal 26 novembre al 4 dicembre scorso, il Paese vive «una crisi economica che non può essere paragonata alle crisi umanitarie» in corso a Gaza, Yemen, Libia, Siria e in vari altri Paesi. Ed è una crisi che viene «enormemente aggravata» dalle sanzioni economiche imposte dal 2015 da Stati uniti e Europa, che hanno decisamente contribuito a generare «il fenomeno della massiccia emigrazione nei Paesi vicini».
Denunciando l’«inquietante campagna mediatica» contro il Venezuela, l’esperto Onu ha messo in guardia dal rischio di un uso improprio del concetto di «crisi umanitaria», potendo questo servire da «pretesto per un intervento militare». Ed è esattamente questo il pericolo indicato a Ginevra dal ministro degli Esteri Jorge Arreaza, che ha chiesto di fermare l’aggressione – politica, economica e mediatica – degli Stati uniti e dei loro alleati contro il suo Paese, come pure «la minaccia dell’uso della forza militare».
Una minaccia la cui gravità emerge anche dalle rivelazioni del New York Times che, citando fonti ufficiali anonime e un ex alto grado militare venezuelano, ha riferito di una serie di riunioni a partire dal 2017 tra funzionari dell’amministrazione Trump e ufficiali venezuelani ribelli.
Benché la Casa bianca abbia infine deciso di non accogliere la loro richiesta di materiale di supporto per un piano diretto a installare un governo di transizione guidato dall’esercito, i militari ostili a Maduro consideravano tali riunioni come una benedizione tacita degliUsa ai loro piani golpisti.
Non a caso, il primo febbraio scorso, l’allora segretario di Stato Tillerson evocava la possibilità che i vertici militari venezuelani trovassero «il modo di realizzare una transizione pacifica» e, pochi giorni dopo, il senatore della Florida Rubio, più esplicitamente, prometteva l’appoggio del mondo a un intervento delle forze armate diretto a «ristabilire la democrazia con la destituzione del dittatore».
Quel che è certo, comunque, è che, pur senza scartare del tutto un intervento militare Usa – a luglio è uscita la notizia che Trump avrebbe voluto invadere il Venezuela già nel 2017 – la Casa bianca preferirebbe che il lavoro sporco lo facciano i Paesi latinoamericani, usando come pretesto la presunta crisi umanitaria provocata dai flussi migratori provenienti dal Venezuela (sarebbero 2,3 milioni le persone che hanno abbandonato il Paese fino al primo luglio).
In questo quadro, la riunione sostenuta a Quito da undici Paesi sul tema della gestione della crisi dei migranti sembra andare proprio in questa direzione.
A rovinare il programma, però, ci pensano i numerosi venezuelani che, abbandonato il Paese, chiedono ora di rientravi, delusi dalle condizioni di vita nei Paesi vicini. Sono già più di 2mila i migranti tornati grazie al piano «Vuelta a la Patria» con cui il governo si è impegnato a predisporre un ponte aereo per chi desidera rientrare in Venezuela. E molti altri si sono rivolti ad ambasciate e consolati per mettersi in lista.
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