Entrambi hanno assicurato la volontà dell’Egitto di collaborare per arrivare alla verità sull’assassinio di Giulio Regeni. Giorgia Meloni lo fece il 7 novembre scorso di ritorno da Sharm El-Sheikh dove aveva avuto un faccia a faccia con al Sisi durato più di un’ora e durante il quale si parlò soprattutto di gas, migranti, Libia e Ucraina. E, a giudicare dalle due righette poste alla fine del comunicato ufficiale diffuso dal portavoce del generale, anche del ricercatore friulano ucciso al Cairo alla fine di febbraio del 2016. «L’incontro ha toccato la questione dello studente italiano Regeni e della cooperazione per raggiungere la verità e ottenere giustizia», era scritto nello striminzito comunicato. Più di recente, invece, è stato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in missione al Cairo il 22 gennaio scorso, ad assicurare che il presidente egiziano si sarebbe detto disponibile a collaborare sul caso. Cosa questo significhi realmente, in cosa consisterebbe di concreto l’aiuto che il presidente egiziano potrebbe dare alla giustizia italiana, però, né Meloni né Tajani lo hanno mai detto.

ADESSO PERÒ è forse arrivato il tempo delle spiegazioni. Accogliendo la richiesta avanzata dall’avvocato Alessandra Ballerini, che assiste i genitori di Giulio, il gup di Roma ha infatti convocato come testi sia la premier che il titolare della Farnesina ai quali chiederà di chiarire il significato della collaborazione promessa. L’appuntamento, al netto degli impegni istituzionali, è fissato per il 3 marzo prossimo al tribunale di Roma. «Ci è sembrato di capire che hanno avuto delle garanzie e delle rassicurazioni da parte del governo egiziano e del presidente al Sisi stesso: si voleva capire in che cosa consistevano e in che cosa si tradurranno in fatti», ha spiegato ieri il papà di Giulio, Claudio, intervenuto nel programma «Il Cavallo e la Torre». Mentre la mamma, Paola Deffendi ha ricordato che «tutto va avanti come se Giulio non fosse stato sequestrato, torturato e ucciso volutamente, volontariamente».

«Alla luce delle dichiarazioni rese ai media dalla premier e dal ministro circa le rassicurazioni o, addirittura sono state chiamate promesse ricevute dal presidente al Sisi – ha spiegato invece Ballerini – che avrebbe garantito che risolverà la situazione eliminando gli ostacoli che di iniziare questo processo per il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio, abbiamo chiesto di sentire la premier Meloni e il ministro degli Esteri per avere ragguagli su tempistiche e modalità di queste soluzioni».

LE INDAGINI ITALIANE hanno permesso di appurare che Giulio era seguito da polizia e servizi segreti egiziani già da settimane prima del rapimento. Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibraim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim, Abdelai Sharif sono i nomi dei quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani rinviati a giudizio dalla procura di Roma. Sono accusati di sequestro di persona, mentre Sharif deve rispondere anche di lesioni e concorso nell’omicidio del ricercatore. La mancata comunicazione dell’indirizzo di residenza dei quattro funzionari da parte dell’Egitto, però, impedisce che venga inviata loro la notifica di citazione e quindi che si celebri il processo, mentre da parte delle autorità egiziane non è arrivato nessun tipo di contributo.

Adesso si spera che qualche passo in avanti si potrà fare grazie a quanto potrebbero dire la premier e il titolare della Farnesina. «Non è che parlando con l’Egitto abbiamo messo nel cassetto la vicenda Regeni», ha commentato ieri Tajani. «Vogliamo sapere la verità e che il processo vada avanti, ma dobbiamo interloquire con un Paese» che, – ha proseguito il ministro – come la Tunisia e l’Algeria, ha un ruolo chiave soprattutto dopo la scelta dell’Italia di uscire dalla dipendenza dal gas russo.