Oltre il giardino, L’Europa alla nuova guerra
Guerre Il nostro senso di superiorità è solo inferiore al fatto che per 1.500 anni noi europei abbiamo coltivato uno spirito espansionistico bellico sotto l’egida del cristianesimo.
Guerre Il nostro senso di superiorità è solo inferiore al fatto che per 1.500 anni noi europei abbiamo coltivato uno spirito espansionistico bellico sotto l’egida del cristianesimo.
Non sarà sfuggito a molti che il responsabile della politica estera dell’Unione Europea, Josep Borrell, abbia spiegato in un’intervista come in Europa vi sia «la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità è stata in grado di costruire: tutte e tre le cose insieme», paragonando poi l’Europa a «un giardino» e il resto del mondo ad una «giungla che potrebbe invadere il giardino». È per questa ragione che gli europei devono «andare nella giungla», devono «essere molto più coinvolti nel resto del mondo. Altrimenti, il resto del mondo ci invaderà».
Borrell è spagnolo, un settantacinquenne socialista nato sotto la dittatura di Franco. Eppure, nella sua forma mentis c’è impressa quella vena che ha avvolto il pensiero europeo – oggi «occidentale» – da sempre, almeno dai tempi dei conquistadores di Cortez l’efferato e poi di padre Bartolomeo de Las Casas, del Kurtz di Conrad in Congo o del «fardello dell’uomo bianco» di Kipling. Che ci fa poi dire che «certo, è ovvio, tutti quei disgraziati vogliono venire qui, perché in Europa si sta bene». Vallo a dire a quei 5,6 milioni di italiani che fanno fatica a sopravvivere.
Il nostro senso di superiorità è solo inferiore al fatto che per mille e cinquecento anni noi europei non abbiamo che coltivato uno spirito espansionistico bellico sotto l’egida del cristianesimo che ha poi dato corpo e sostegno a quella idea di superiorità.
Nessuna civiltà come quella europea ha travalicato i suoi confini per andare a sottomettere il resto del mondo, nessuna si è espansa così a spese degli altri, prevaricando, rapinando, dettando legge (con una supremazia militare forgiata in secoli di lotte intestine). Continuando, nei secoli, a combattersi (quali lunghi periodi di pace possiamo trovare nella storia europea che abbraccino più di una generazione?). Di impero in impero – dopo quello spagnolo, l’olandese, e poi l’inglese e il francese – fino a quello del grande fratello americano, europeo nel sangue, un imperialismo forgiato sul colonialismo, impostosi grazie al capitalismo predatorio.
In un crescendo forsennato siamo arrivati così alle guerre mondiali, di cui la seconda ha segnato uno spartiacque, affiancando alla supremazia militare americana quella economica. Quando ci fu promesso che la nostra libertà economica sarebbe stata garantita sotto tutela politica e militare, sigillata dal Patto Atlantico. Che ha retto e ha fatto quanto si era prefisso.
Il mondo, però, non va sempre come decidono gli europei e dopo cinquecento anni, l’impero vacilla. L’Asia guarda altrove, l’America Latina freme di subbuglio sociale e promessa, l’Africa viene presa per fame. In tanti, però, ci guardano in cagnesco o guardano altrove. La guerra ucraìna ora in corso – di per sé, con il suo carattere distruttivo, non troppo diversa dalle tante che insanguinano il pianeta – ce l’abbiamo quasi in casa, perché qualcosa è andato storto. Ed è diventata subito, come non poteva essere altrimenti, economica.
C’è un autocrate criminale con i suoi sogni di gloria, per riconquistare la grande Russia perduta. E, però, c’è anche il business. Per anni ci avevamo fatto affari, chiudendo gli occhi su quanto accadeva nel Donbass o in Russia. Non volevamo che andasse così; ora è diventato tutto «o di qua o di là». Il business delle armi e dell’energia fa i suoi affari e questionare la democrazia in Ucraina pare quisquilia.
L’economia, intanto, si sta incartando, ancora in «tilt» dopo la rottura delle catene delle forniture per la pandemia, con i mercati di energia e materie prime nel caos. Gli Stati uniti, con nonchalance, ci hanno messo nell’angolo – «vi daremo noi le forniture» – e noi, nel nostro supino atlantismo, non sappiamo opporre una strategia. E dovremo comprare il gas americano e norvegese ai prezzi di mercato. Così, nella guerra economica in atto ci stiamo perdendo tutti, ma a pagare saranno alcuni più di altri.
La transizione ecologica l’abbiamo buttata alle ortiche, che tanto può attendere. E ancora una volta siamo chiamati a risparmiare sul gas per «difendere i territori» e potenziare l’offensiva militare e il riarmo, rispondendo alla guerra con la guerra, perché in Ucraina, si dice, si decide il destino dell’Occidente. Oltre il giardino preme la giungla, e noi dobbiamo difenderci.
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