Nonostante da noi siano cadute nel dimenticatoio, le olimpiadi di Tokyo 2020 (posticipate al 2021 causa Covid) sono tornate ad animare il dibattito pubblico in Giappone. Questa volta però non c’entra né lo sport, né la pandemia. La notizia riportata in settimana da tutti i giornali nipponici era che il capo della Kadokawa Corp, un gigante dell’editoria e dell’intrattenimento, era stato formalmente accusato dalla magistratura di aver fatto ricorso a una maxi mazzetta per assicurarsi la sponsorizzazione dei giochi olimpici.

Secondo l’accusa, Tsuguhiko Kadokawa avrebbe fatto pervenire circa 477.000 dollari a Haruyuki Takahashi, uno dei membri del comitato organizzativo dei giochi, che in cambio avrebbe aiutato la società a essere selezionata come sponsor olimpico e avrebbe anche contenuto il contributo esatto alla Kadokawa Corp per l’organizzazione dei giochi. Sempre secondo i magistrati, al centro di questa transazione illecita ci sarebbe un amico di lunga data nonché ex collega di Takahashi, che avrebbe fatto da intermediario. Dopo la nomina della società a sponsor olimpico nell’aprile 2019, Kadokawa e due suoi collaboratori avrebbero trasferito la somma sul conto dell’intermediario coprendo l’operazione con un contratto di consulenza.

Lo scandalo in poco tempo ha assunto dimensioni allarmanti, che vanno ben oltre i legami del comitato organizzativo dei giochi con Kadokawa. Le prime indiscrezioni emerse lo scorso luglio infatti suggerivano che Takahashi avrebbe ricevuto delle mazzette da una catena d’abbigliamento giapponese in cambio di un trattamento di favore. Allora, fonti anonime parlavano di circa 326.000 dollari. In seguito la pubblica accusa avrebbe individuato rapporti poco chiari anche con una società pubblicitaria, dalla quale Takahashi avrebbe ricevuto circa 104.000 dollari grazie alla copertura offerta dallo stesso intermediario. In questi giorni, inoltre, i magistrati indagano su una casa di produzione di giocattoli che avrebbe ottenuto la licenza per vendere le mascotte ufficiali dei giochi olimpici dietro un presunto compenso personale per Takahashi.

Lo scandalo è una testimonianza del sistema di potere e corruzione che in modo insospettato ancora vige in Giappone, fondato su rapporti interpersonali ben consolidati e porte girevoli tra istituzioni pubbliche e grandi imprese private. Una di queste in particolare ha avuto un ruolo fondamentale nell’organizzazione dei giochi e nella vicenda delle mazzette. Si chiama Dentsu, ed è la società che in qualità di agente pubblicitario esclusivo dei giochi olimpici ha reso possibile l’organizzazione dell’evento globale raccogliendo la cifra record di 2,8 miliardi di dollari.
Takahashi è stato a lungo uno dei dirigenti di Dentsu, dove t lavorava anche l’intermediario. Secondo i magistrati, l’ex dirigente avrebbe ancora un potere rilevante all’interno della società pubblicitaria. Forse non a caso, buona parte della divisione marketing del comitato organizzativo (il cui compito era quello di selezionare i possibili sponsor per le olimpiadi) consisteva in personale della Dentsu preso in prestito dall’azienda.

La vicenda giudiziaria è ancora in corso e ci vorrà del tempo prima che la verità venga a galla. Eppure, il Giappone ha già cominciato a pagarne il prezzo perché il mese scorso, dopo i primi arresti, il Comitato olimpico internazionale si è rifiutato di incontrare la delegazione proveniente da Sapporo che intendeva discutere la candidatura della città a ospitare i giochi olimpici invernali del 2030. I promotori non demordono ma nonostante l’entusiasmo la strada per riportare la torcia olimpica in Giappone sembra sempre più incerta.