Oim, oltre 15mila i migranti riportati in Libia nel 2024
Muro a mare Nel Paese subiscono una «permanente disumanizzazione» in situazioni vulnerabili, per mano di attori statali e non statali
Muro a mare Nel Paese subiscono una «permanente disumanizzazione» in situazioni vulnerabili, per mano di attori statali e non statali
Mentre la Libia continua a essere afflitta da una “profonda” insicurezza, migranti e rifugiati continuano a essere vittime di «gravi e diffuse violazioni dei diritti umani perpetrate su larga scala e nella totale impunità, compresi casi di tortura o lavoro forzato», secondo una recente relazione di luglio dell’Alto Commissario per i diritti umani, Volker Türk. La Libia costituisce un punto di destinazione e di transito per i migranti. Nel dicembre 2023 erano più di 706mila nel paese, la maggior parte dei quali era entrata attraverso l’Egitto, il Niger, il Sudan o il Ciad.
Davanti al Consiglio per i diritti umani a Ginevra, Türk ha descritto una «permanente disumanizzazione» di queste persone in situazioni vulnerabili, che continua per mano di attori statali e non statali: «Tratta, tortura, lavoro forzato, estorsione, fame in condizioni di detenzione espulsioni di massa, vendita di esseri umani, compresi i bambini», ha precisato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, sottolineando che questi abusi sono «perpetrati su larga scala, nella totale impunità».
Dall’aprile 2023, i servizi di sicurezza libici hanno effettuato arresti di massa ed espulsioni collettive di migliaia di persone, comprese persone in possesso di visti validi. Il rapporto rileva che queste espulsioni di massa sono avvenute mentre l’Unione Europea e i suoi Stati membri esercitavano «una pressione crescente» per arginare la migrazione nel Mediterraneo. In prima linea nella lotta ai respingimenti anche il governo italiano di Giorgia Meloni. Dall’inizio del 2024 fino al 31 agosto, secondo quanto ha indicato nel suo ultimo aggiornamento su X l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), sono stati oltre 15mila i migranti intercettati in mare e riportati in Libia, con almeno 434 vittime e 611 dispersi nel Mediterraneo.
Abdel-Rahman Milad, meglio conosciuto con il soprannome di Bija, uno dei più potenti trafficanti di esseri umani in Libia, assassinato questa domenica a Tripoli, ne è un esempio. Milad è stato a capo del porto di Zawiya e successivamente della Guardia costiera locale, un’unità formata nell’ambito dell’operazione Sophia, finanziata dall’Italia e dall’Ue per contrastare le partenze di migranti verso l’Italia.
Gli accordi siglati dall’Italia – dal Memorandum d’Intesa sulla migrazione in poi – prevedono il sostegno tecnico e finanziario fornito dall’Italia alle autorità libiche proprio per «facilitare l’intercettazione di migliaia di persone che tentano di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Italia, e il loro ritorno forzato in Libia». Partenariato commerciale e accordi su idrocarburi e gas, siglati tra il governo Meloni e quello del premier Abdul Hamid Dbeibah, che prevedono in cambio la fornitura alla Guardia costiera libica di diverse imbarcazioni completamente equipaggiate.
Da diversi anni Oim e Unhcr ribadiscono che nessuno, «dopo essere stato salvato in mare, dovrebbe essere riportato in Libia, che non è un porto sicuro», secondo quanto previsto anche dal Diritto marittimo internazionale. Lo scorso giugno anche il tribunale civile di Roma ha giudicato «colpevoli del respingimento collettivo in Libia», avvenuto il 2 luglio 2018, i ministeri di Difesa e Trasporti, la Presidenza del consiglio, il capitano e l’armatore della nave Asso 29 perché consegnò «276 persone alla guardia costiera libica». Dopo lo sbarco a Tripoli tuti i migranti furono rinchiusi nei centri di tortura di Tarik Al Sikka, Zintan, Tarik Al Matar, Gharyan e sottoposti a «violenze e condizioni di vita atroci».
L’Alto Commissario ha quindi sollecitato una revisione dell’accordo di lunga data tra l’Unione Europea – Italia compresa – e le autorità libiche incaricate di intercettare i migranti che tentano di attraversare il Mar Mediterraneo verso l’Europa, evidenziando «un picco di arresti, detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate e violazioni dei più fondamentali diritti umani, proprio a causa dell’attuale situazione di instabilità e conflitto in Libia».
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