Il D-day per Viktor Orban è arrivato. E le informazioni che filtrano dai palazzi europei non lasciano ben presagire. Il tempo a Bruxelles sembra fermo al 15 dicembre, quando il premier ungherese aveva bloccato l’accordo sul bilancio che includeva un pacchetto di aiuti all’Ucraina. La scelta fu di prendere tempo per convincere Budapest a sottoscrivere il sostegno finanziario a Kiev ed evitare il collasso del Paese, ma Orban finora non ha aperto spiragli.

Budapest continua a chiedere che gli aiuti vengano approvati di anno in anno all’unanimità, la maggioranza degli Stati insiste sulla necessità di un quadro di aiuti prevedibili per l’Ucraina. Il vero obiettivo di Orban, ragiona Bruxelles, è lo sblocco dei suoi circa 21 miliardi di euro, ancora congelati a causa delle violazioni sullo Stato di diritto. Cedere al potere di veto che vuole riservarsi Budapest, equivarrebbe ad avallare il metodo del ricatto. «Non c’è alcun interesse vitale in gioco che giustifichi quanto chiesto da Orban, semmai è interesse vitale di tutti noi sostenere l’Ucraina» spiega alla vigilia del vertice un diplomatico europeo. La sua battaglia, Orban la sta combattendo in solitaria, come mai prima d’ora.

«La situazione è molto difficile, siamo soli» aveva ammesso il premier in un’intervista a Le Point in cui si chiedeva conto della posizione di Giorgia Meloni, che non sembra intenzionata nemmeno a ritagliarsi il ruolo di mediatrice. E il caso di Ilaria Salis complica il quadro.
Intanto, è spuntata una proposta di compromesso che consentirebbe di indire una discussione sugli aiuti a Kiev su richiesta di uno Stato che ravvisi conseguenze gravi sul bilancio o sulla sicurezza. È il cosiddetto “freno d’emergenza” che però non sembra soddisfare gli appetiti di Budapest.

Il piatto proposto dall’Ue è infatti privo dell’ingrediente più caro a Orban, il veto. «I margini non sono ampi» osservano a Bruxelles, mentre prende sempre più corpo l’ipotesi che il vertice deragli verso una soluzione a 26, tecnicamente difficile e politicamente disastrosa. Un’intesa a 26 dovrebbe prima passare il vaglio dei Parlamenti nazionali con il serio rischio di mettere a repentaglio le finanze di Kiev. Politicamente, certificherebbe una prima, profonda crepa nell’unità dell’Ue per il sostegno all’Ucraina nella guerra contro la Russia e un’escalation nei rapporti tra Bruxelles e Budapest dai contorni incerti. Bruxelles potrebbe decidere infatti di bloccare nuovi fondi europei diretti a Budapest o persino di privare l’Ungheria del suo diritto di voto in Consiglio.