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Oggi al voto l’emendamento sul terzo mandato. Sostenuto solo dai leghisti

Maggioranza Renzi propone all’opposizione di approvare la norma per mandare sotto Fdi
Pubblicato 9 mesi faEdizione del 22 febbraio 2024

A Cagliari va in scena la pantomima di un’unità granitica. A Roma quella di una spaccatura che tutti si affannano a smentire ma è sotto gli occhi di tutti. Lo stato della maggioranza è questo, illustrato dalle due immagini contraddittorie che stentano a tenersi insieme.

Il senso della kermesse cagliaritana era tutto nella passerella dei leader: non è la prima volta che si trovano insieme su un palco ma non era mai successo che prendessero tutti la parola. Comizi prevedibili sin nelle pause a effetto ma tra le righe Meloni, Salvini e Tajani trovano tutti modo di esaltare la solidissima compattezza. Il più accalorato è proprio quello che oggi a Roma prenderà sganassoni e che nell’isola ne ha già presi a volontà, Matteo Salvini.

«Più provano a farci litigare più ci cementano. In Giorgia sto trovando un’amica e questo fa la differenza», assicura il leader della Lega. L’amica affosserà oggi l’emendamento sul terzo mandato per i presidenti di regione, sempre che all’ultimo secondo la stessa Lega non ingrani la retromarcia. L’emendamento sull’innalzamento del tetto per i sindaci verrà ritirato. Quello sui governatori no, anche se l’ultima parola non è ancora detta. Serafico il forzista Maurizio Gasparri garantisce che «non ci saranno lacerazioni». Una spaccatura di ordinaria amministrazione. Una mazzata alla Lega che quasi non fa più notizia.

Perché il Carroccio, pur nella certezza della sconfitta, insista non è chiaro. Forse per dimostrare al presidente del Veneto Luca Zaia che ha davvero combattuto fino all’ultimo: i tre senatori che firmano il testo sono di strettissima osservanza zaiana. Ma c’è un’ipotesi più allarmante per la destra: quella che la Lega voglia rendere chiaro chi dovrà addossarsi le responsabilità se l’incidente, oggi senza conseguenze, provocherà invece danni in Veneto l’anno prossimo. Cioè se Zaia deciderà di mettersi di mezzo con una lista da lui patrocinata: è improbabile, non impossibile, e comunque a palazzo Chigi è ben chiaro che bisognerà trovare una moneta con la quale risarcire il governatore uscente. Ritrovarselo contro sarebbe catastrofico.

All’opposizione Matteo Renzi, che quanto a capacità manovriera sa il fatto suo, propone a tutti di votare a favore dell’emendamento leghista, in modo da mandare sotto la premier. La mossa politica sarebbe efficace e destabilizzante ma non è su quel piano che si muovono Elly Schlein e Giuseppe Conte. Il Pd vorrebbe disertare il voto per rendere plateale la divisione nella maggioranza: «Nessuno deve fargli da stampella: è giusto che il confronto avvenga solo tra loro», prova a dettare la linea il capogruppo Francesco Boccia. I 5S preferiscono la bocciatura esplicita e tanto per cambiare il dissenso tattico solleva la solita ondata di malumori al Nazareno. Irritazione comprensibile: senza l’opposizione la spaccatura sarebbe molto più vistosa e dunque molto più clamorosa. Non è pertanto escluso che Conte oggi ci ripensi.

Ma stavolta le divisioni a sinistra sono poca cosa a fronte di quelle dall’altra parte della barricata. Inconfessate ma anche innegabili. Ieri a Cagliari i due diretti interessati, Meloni e Salvini, si sono rivolti la parola solo per cinque minuti, nel retropalco, ed è stata una conversazione del tutto rilassata, davvero sorridente. Appena 24 ore prima, però, tra i Fratelli serpeggiava il sospetto che Salvini mirasse a provocare il tonfo in Sardegna, dando disposizioni per il voto disgiunto.

Per la premier sarebbe un disastro: la responsabilità della sconfitta ricadrebbe tutta su di lei. Si tratta quasi certamente di un sospetto infondato. Se mai dovessero esserci sorprese non sarebbe per ordine del capo leghista, che di suo in Sardegna conta poco, ma per scelta del Partito sardo d’azione, inviperito per la defenestrazione del presidente uscente Christian Solinas. Ma il solo fatto che quel sospetto ci sia rivela quanto elevato sia il nervosismo annidato dietro i sorrisoni dei due leader e le dichiarazioni d’amicizia imperitura del leghista.

Quel nervosismo non porterà a nessun esito clamoroso oggi. Si accumulerà per arrivare al pettine quando sarà davvero in ballo la scelta del candidato per il Veneto e si concluderà la manovra che inizia oggi con l’affossamento della proposta leghista. Sempre che il voto in Sardegna non riservi le temute sorprese. In quel caso la tensione nella maggioranza alle stelle ci arriverebbe subito.

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