Mentre proseguono l’avanzata via terra in Donbass e i bombardamenti sulle grandi città ucraine, il Cremlino approva un decreto che permette ai residenti delle città occupate di richiedere la cittadinanza russa. La misura, firmata ieri dal presidente russo Putin, si rivolge soprattutto agli abitanti dei territori di Zaporizhzhia e di Kherson che potranno richiedere il passaporto russo mediante una procedura semplificata. Immediata la reazione di Kiev che «condanna» il decreto e lo definisce «una grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, delle norme e dei principi del diritto internazionale umanitario e degli obblighi della Federazione Russa come potenza occupante».

Del resto, il procedimento ha un precedente storico molto significativo: era stato adottato nel 2019 per i residenti delle repubbliche separatiste del Donbass. Sempre ieri, fonti ucraine hanno diffuso la notizia che gli occupanti russi avrebbero iniziato a rilasciare passaporti agli abitanti di Mariupol, dando avvio a quella che è stata definita «un’annessione di fatto» della città portuale.

IL TEMA della popolazione russofona di alcune aree dell’Ucraina (in particolare di quelle orientali) è spesso stato al centro del dibattito internazionale e Mosca l’ha più volte usato come pretesto per le proprie azioni militari nel paese vicino. Del resto, come abbiamo avuto modo di documentare direttamente in queste settimane, una parte modesta dei civili residenti nelle città e nelle aree rurali sente ancora forti legami con la Russia e sarà interessante valutare quante persone effettivamente faranno richiesta dei nuovi documenti.

In un contesto disastroso come quello di Mariupol, Severodonestsk o Lyman, è difficile parlare di libera scelta. In molti potrebbero decidere di barattare la propria identità nazionale con la tranquillità del cessate il fuoco, seppure in un regime di occupazione. Ma è presto per dirlo, solo i primi dati potranno restituire l’effettivo successo di questa decisione del Cremlino che ha tutte le caratteristiche dell’ennesima misura propagandistica, oltre che della mossa politica. Non è difficile credere che Mosca sfrutterà l’eventuale successo numerico dei nuovi passaporti come arma diplomatica e mediatica per sottolineare che la cosiddetta «volontà popolare» nei territori occupati è dalla sua parte. A proposito di Mariupol, il vice-ministro degli esteri russo, Andrey Rudenko, ha dichiarato all’agenzia russa Ria Novosti che «è troppo presto per parlare dello scambio dei prigionieri dell’Azovstal».

«Un eventuale scambio – prosegue l’agenzia – sarà considerato solo quando i soldati ucraini deportati da Mariupol in territorio russo saranno adeguatamente incarcerati e giudicati». Altri media russi hanno riportato la notizia che i soldati dell’Azovstal potrebbero essere giudicati da un tribunale proprio a Mariupol, ma al momento non si hanno conferme ufficiali dal Cremlino. Inizialmente fonti governative ucraine avevano dichiarato che i soldati dell’Azovstal sarebbero stati scambiati con prigionieri di guerra russi ma tale eventualità non pare per ora corrispondere alle intenzioni russe.

SEMPRE Rudenko, citato dalla Tass, ha fatto sapere che la Russia sarebbe pronta a interrompere il blocco navale delle esportazioni di grano ucraino in cambio di alcune condizioni. Secondo l’agenzia russa, tra le richieste di Mosca in cambio di un corridoio commerciale che permetta all’Ucraina di esportare il preziosissimo grano c’è «la rimozione delle sanzioni imposte alle esportazioni e alle transazioni finanziarie russe». Il primo paese a rispondere, come spesso è accaduto dall’inizio della guerra, dando quasi l’impressione di voler dettare la linea per gli altri alleati occidentali, è la Gran Bretagna. In una nota pubblicata nel pomeriggio dal ministro della difesa Ben Wallace si legge che Londra rifiuta la proposta della Russia. «Esorto la Russia a fare la cosa giusta e più umana lasciando che il grano ucraino sia esportato – ha specificato Wallace, come riportato dalla Reuters – e a smetterla di rubarlo per i propri bisogni». Non si è fatta attendere la replica del ministro degli esteri ucraino, Dmytro Kuleba, che ha definito la proposta di Mosca un «ricatto», aggiungendo che quei politici che potrebbero pensare di accettare dovrebbero prima visitare i cimiteri dei bambini ucraini deceduti.

CHIUDIAMO con alcune notizie dal campo. Secondo l’«Istituto per gli studi sulla guerra» americano, le forze russe sembrano aver abbandonato l’idea di circondare la maggior parte del territorio orientale dell’Ucraina e si sarebbero orientati verso operazioni su scala più ridotta come l’accerchiamento di Severodonetsk. Il cambio di strategia probabilmente favorirà avanzate progressive, ma al costo di abbandonare molte delle direttrici finora aperte e il totale accerchiamento delle truppe ucraine nell’est. L’esercito ucraino starebbe operando delle ritirate strategiche dall’area a sud-ovest di Popasna, a Bakhmut, per proteggere la linea di approvvigionamento ucraina contro l’offensiva russa nella zona sud-ovest dell’oblast di Donetsk.

SECONDO fonti russe unità ucraine della 9° brigata aviotrasportata, della 24° meccanizzata e della 128° brigata montana di assalto insieme a diverse unità dei battaglioni di difesa territoriale si sarebbero già ritirate dalla zona ma da Kiev non sono arrivate conferme in merito. Si è espresso sulla situazione generale, invece, il presidente Zelensky, secondo il quale «la Russia ha impiegato tutte le forze che gli rimangono nell’offensiva in Donbass».

IL PRESIDENTE ucraino ha anche aggiunto che, in seguito alle intercettazioni telefoniche dell’intelligence, risulta chiaro che i soldati russi «sono ben al corrente del fatto che questa guerra non ha alcun senso, e che strategicamente il loro esercito non ha chance».