Al tempo in cui l’«italianità» è tornata ad essere un must della vita politica nazionale, c’è una notizia che certamente farà piacere ai suoi attuali propugnatori: il re della Nutella ha superato in quanto a ricchezza l’imperatore di Facebook.

Lo dice il Bloomberg Billionaires Index, la classifica giornaliera delle 500 persone più ricche del mondo, in base al loro patrimonio netto. Fantastico.

CON 38,6 MILIARDI di patrimonio, Giovanni Ferrero, executive chairman dell’omonimo gruppo dolciario «italiano» la cui sede è però in Lussemburgo, si è portato al 25° posto di questa classifica, lasciando indietro di quattro postazioni Mark Zuckerberg, con i suoi 36,1 miliardi.

GIovanni Ferrero, foto Ansa
GIovanni Ferrero, foto Ansa

Quest’ultimo paga senz’altro gli insuccessi dei suoi investimenti nella tecnologia del metaverso, lo spazio in cui cadono i confini tra mondo virtuale e mondo reale, col secondo praticamente sussunto al primo.

Facile ironia: nel caso dei suoi affari, la realtà l’ha avuta vinta sulla fantasia. Il titolo di Meta, infatti, ha perso nell’ultimo anno il 72% del suo valore, passando da mille a 247 miliardi.

Discorso diverso per la Ferrero. A chiusura dell’esercizio 2021, il suo fatturato è stato di 12,7 miliardi di euro, in aumento del 3,4% rispetto all’anno precedente.

Ma meglio del gruppo ha fatto tuttavia il suo patron, aggiungendo in soli cinque mesi altri quattro miliardi al suo patrimonio personale (la rivista Forbes a maggio lo stimava in 34,9 miliardi).

Verrebbe da dire che la crisi non è per tutti.

Non si spiegherebbe, altrimenti, come proprio negli ultimi anni, tra pandemia e una guerra che sta terremotando vecchi equilibri mondiali, i ricchi stiano diventando sempre più ricchi.

Mark Zuckerberg, foto Ap
Mark Zuckerberg, foto Ap

Stando al Wealth Report 2022 di Credit Suisse Research, l’1% di popolazione più ricca del mondo ha visto aumentare, per il secondo anno, la propria quota patrimoniale, fino a raggiungere il 45,6% nel 2021, contro il 43,9% del 2019.

E se l’Italia, nella classifica mondiale, si colloca al terzo posto per incremento della ricchezza dei ricchi (+23%), lo si deve anche ai «successi» di uomini come Giovanni Ferrero.

CERTO, LA NUTELLA È un prodotto che delizia il palato di milioni di individui – viene alla mente la scena di Nanni Moretti alle prese con un vasetto gigante nel film Bianca -, niente a che vedere con le fantasie del metaverso di Zuckerberg, ma un Paese come il nostro, dove il 10% della popolazione versa in condizione di povertà assoluta, qualche domanda sulla crescita spaventosa delle sperequazioni di reddito se la dovrebbe porre.

Tanto più che gli straricchi di questa nostra «nazione» non hanno avuto scrupoli, in questi anni, a cambiare la propria sede legale e il proprio domicilio fiscale per pagare meno tasse e, soprattutto, per non pagarle all’erario del proprio Paese.

«Lussemburgo più dolce della Nutella: per i Ferrero utili miliardari e poche tasse», titolava un’inchiesta apparsa sul Sole 24 Ore due anni fa. I due autori, Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi, sottolineavano che la multinazionale, negli ultimi 18 anni, aveva fatto utili per 12 miliardi e pagato tasse per 4.

NON SOLO: «In cima alla piramide ha goduto del regime fiscale lussemburghese versando in tasse solo lo 0,8% dei profitti». Insomma, «ricette perfette di cioccolato e nocciola» e il «doppio binario» nell’organizzazione fiscale dell’azienda: «Il pagamento delle tasse nei Paesi di produzione e il trasferimento dei dividendi su rotte che vanno dal Lussemburgo a Montecarlo, riducendo al minimo la tassazione sugli utili della famiglia».

E’ questo il «made in Italy» che vuole tutelare la destra al governo? Magnati italiani che pagano le tasse allo «straniero»? Ma poi, per restare alla Nutella, che c’azzecca la monocoltura invasiva delle nocciole nella Tuscia con la nobile idea della «sovranità alimentare»?

DOMANDE. Anche perché finora l’unico assillo della Meloni è stato quello di bastonare i percettori di Reddito di cittadinanza, i disgraziati di questo nostro Paese, che non portano notizie belle per il mondo, come la Nutella, come i Ferrero.

Qualcuno la chiama «colpevolizzazione della povertà». Invero, è solo una posizione coerente con la visione che la destra ha della società e dell’economia. Una destra che ha ricostruito la sua identità coniugando securitarismo e neoliberismo.

LO STATO «GUARDIANO notturno» al servizio degli interessi della grande impresa. «Non disturbare chi vuole fare», è stata la frase chiave del discorso della Meloni dinanzi al Parlamento. Una moderna versione del laissez faire, che, dai fisiocratici del Settecento ai giorni nostri, ha costituito il mantra di tutti i liberisti.

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L’uomo lasciato al suo egoismo farà inconsapevolmente il bene di tutta la società. Lo farà anche se le tasse le pagherà in Lussemburgo. Perché è l’impresa che «crea» la ricchezza ed il lavoro. La ragione, a ben vedere, per cui si è deciso, tra le altre cose, di cambiare il nome del Ministero dello sviluppo economico in «Ministero dell’Impresa». Un salto indietro di due secoli. Sembra sentire i lord inglesi che in epoca vittoriana tuonavano contro la «legge sulla povertà», che a loro dire costituiva «un ostacolo per l’industria», in quanto scoraggiava «gli uomini diligenti e onesti per proteggere i pigri e i viziosi». In verità, la preoccupazione era un’altra: «Il sussidio per i poveri elimina gli effetti della popolazione sul salario». Tradotto: possono chiedere di più per venire a lavorare.

Siamo ancora qui. I Ferrero da un lato, le classi popolari dall’altra.