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Nuovo paradigma di sviluppo «Non siamo mendicanti»

Nuovo paradigma di sviluppo «Non siamo mendicanti»Una protesta durante la Cop27 a Sharm el-Sheik in Egitto – Ap

Africa/Europa I dubbi delle delegazioni del continente al senato. Priorità per i vari leader è la riforma delle governance e dell'architettura finanziaria globale

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 30 gennaio 2024

Parlando di «posizioni comuni» (cit. Antonio Tajani) «per una nuova cooperazione» tra Italia e Africa, il tema delle migrazioni, nella narrativa posta dai vari attori arrivati a Roma per la Conferenza Italia-Africa, diventa una sorta di cavallo di Troia per parlare di altro. L’insostenibilità del costo del debito africano, la necessità di finanziamenti per affrontare le diverse crisi, da quella economica a quella climatica, e soprattutto la riforma delle governance internazionali e dell’architettura finanziaria globale.

SONO QUESTE LE PRIORITÀ che interessano di più i capi di Stato e di governo africani. In una parola, citando il presidente della Commissione dell’Unione africana Faki Mahamat, la «libertà».

Inquadrando la situazione, la vicesegretaria delle Nazioni unite Amina Mohammed, intervenuta ieri in apertura del vertice, ha lamentato il «ritardo sull’Agenda 2030: solo il 15% degli obiettivi saranno raggiunti, è un fallimento per ora». Anche perché le sfide attuali vengono affrontate da istituzioni internazionali, e con metodologie «troppo legate al secolo scorso, carenti nel rispondere alle esigenze di oggi». La questione della riforma delle governance finanziarie e politiche internazionali per l’Africa è fondamentale: il continente africano, nei decenni che hanno seguito le indipendenze, non ha mai avuto l’opportunità di parlare con una voce unica in un contesto internazionale né, soprattutto, ha mai potuto presentare istanze o richieste in base alle proprie esigenze specifiche. Come, in realtà, possono fare tutti gli altri.

LA QUESTIONE delle governance e dell’architettura finanziaria globale è stata chiarita bene da Azali Assoumani, presidente delle Comore e presidente di turno dell’Unione africana: «La riforma del sistema economico mondiale è la chiave per il successo di qualsiasi iniziativa volta a promuovere una cooperazione reciprocamente benefica» e, in questo, la «riforma della governance mondiale e dell’architettura economica mondiale» sono l’essenza di quella che si delinea più come una rivoluzione che come una riforma. Una rivoluzione di cui Assoumani investe l’Italia come uno dei «principali portatori» degli interessi africani. «Benvenuto il sostegno attivo dell’Italia a iniziative di advocacy sulla riforma dell’architettura finanziaria internazionale, ma per renderla più equa, inclusiva e affinché rifletta le esigenze reali, economiche e sociali, per una crescita sostenibile sono necessarie pace e stabilità».

UNA RIVOLUZIONE di cui l’Africa vuole essere padrona e protagonista e, per questo, libera: Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana, ha detto che il principio cardine per l’Africa è la libertà: «Libertà di scelta dei suoi partner, libertà non allineata a un blocco unico, reciproco rispetto. Come noi non imponiamo, così non vogliamo che ci si impongano delle scelte». Faki non ha usato parole morbide nell’aula del Senato: le priorità dell’Africa, ha proseguito, derivano da una serie di sfide e di vantaggi, dall’estensione geografica alle risorse naturali e umane, dalla mobilità alle sfide di finanziamento e di integrazione: «L’Africa non vuole tendere la mano, non siamo mendicanti. Peroriamo un nuovo paradigma di un nuovo modello di sviluppo. No a barriere securitarie che sono barriere di ostilità. La soluzione deve essere collettiva. Il nostro auspicio è che l’Italia sia sempre più coinvolta in questa ottica».

IL PRESIDENTE SENEGALESE Macky Sall, intervenendo in apertura del primo gruppo di lavoro sulle infrastrutture e parlando a nome di diversi altri suoi colleghi, ha detto che «è necessario e urgente cambiare mentalità nella cooperazione con l’Africa: serve passare dalla logica dell’aiuto a quella degli investimenti e delle partnership». Sall, facendosi portavoce delle istanze africane, ha detto che un passo fondamentale è «rivedere i criteri di valutazione delle agenzie di rating: tendono sempre a esagerare il rischio di investimenti in Africa e, così, ne aumentano i costi».

Un cambio di mentalità, di paradigma. Che ovviamente passa anche dalla diplomazia, che significa «reciprocità»: diverse delegazioni africane, parlando con il manifesto, lamentano una scarsa, se non inesistente, reciprocità nel protocollo. Diversi presidenti, con le loro delegazioni, sono stati accolti in aeroporto da figure junior o stagisti del ministero degli Esteri, non hanno ricevuto assistenza nell’organizzazione degli incontri bilaterali, nei rapporti con i media, nelle necessità di logistica. A volte, dovendosi arrangiare. Una carenza di sensibilità diplomatica e professionalità che fanno vacillare la credibilità dell’iniziativa italiana verso l’Africa.

NEL SUO DISCORSO al Senato Faki si è tolto qualche sassolino dalle scarpe, rivolgendosi direttamente al ministro Tajani: «Sette anni fa mi sono presentato al Parlamento europeo da Lei presieduto e oggi trasmetto lo stesso concetto». Come a dire, basta parole, ora proviamo a fare le cose.

 

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