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Shugaley, l’uomo del Cremlino arrestato in Ciad

Shugaley, l’uomo del Cremlino arrestato in CiadMaxim Shugaley, il "sociologo" russo ex braccio destro di Prigozhin – Getty Images

Fine della luna di miele russa in Africa Ex vice di Prigozhin, a capo delle rete di interessi di Mosca nel continente, famoso per un film sul suo sequestro in Libia. Dal Centrafrica al Mali, le mire espansioniste di Mosca si scontrano con la complessità africana

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 24 settembre 2024

Lo scorso 19 settembre due cittadini russi sono stati fermati all’aeroporto Hassan Djamous, a N’Djamena, capitale del Ciad e, da quel momento, si trovano in stato di arresto: «La nostra ambasciata in Ciad – ha dichiarato Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo – è in contatto con la parte locale per chiarire la situazione». Non si tratta di semplici cittadini russi: gli arrestati sono Maxim Shugaley, che i media russi lo definiscono «sociologo» e Samer Hasan Ali Soueifan, il suo interprete.

SHUGALEY è una persona molto importante, a capo della rete di relazioni del Cremlino in Africa, sottoposto a sanzioni europee e nordamericane perché ritenuto responsabile diretto delle interferenze nelle elezioni Usa del 2016. Ex-braccio destro di Yevgeny Prigozhin, fu rapito nel maggio 2019 da un hotel di Tripoli, in Libia, sempre assieme Soueifan, e tenuto sotto sequestro per 14 mesi a Mitiga (un’avventura diventata un film, Shugaley, uscito nel 2020 e prodotto da Prigozhin, il primo di una saga di tre). Aveva appena incontrato Saif al-Islam Gheddafi.

Durante la detenzione libica, Putin candidò Shugaley come capolista di Russia Unita alle elezioni del Consiglio di Stato della Repubblica di Komi: fu eletto e, dopo la liberazione avvenuta grazie a un assalto degli uomini della Wagner alla villa dove era detenuto, rinunciò al seggio. Poi pagò Prigozhin circa 174 mila euro. Quando il capo della Wagner morì, Shugaley scrisse cinicamente su Telegram che in Russia «nessuno è al sicuro». Nemmeno in Ciad, evidentemente, nonostante la visita del 6 giugno di Sergei Lavrov a N’Djamena e l’incontro, a Mosca, tra il presidente ciadiano Mahamat Idriss Deby e Vladimir Putin.

LA DETENZIONE ciadiana di Shugaley, al vertice della fittissima rete di interessi russi (miniere, consulenze per i governi, sicurezza, contrabbando, il suo potere è pari a quello di un ministro), è un duro colpo per Mosca in Africa, ma non è il solo: il Cremlino sembra iniziare a scontrarsi, e a farsi male, con la complessità africana.

Dopo la cacciata delle forze occidentali dal Sahel in favore dei soldati per procura russi, e dopo le derrate di grano regalate da Mosca all’Africa, grano rubato da suoli e granai ucraini, sembrava che Mosca avesse in mano solo carte vincenti. Nei cinque anni trascorsi dal primo vertice Russia-Africa (a Sochi, nel 2019), la Russia ha mantenuto molte delle promesse fatte, in particolare quelle sulla cooperazione in materia di sicurezza. Mire espansionistiche che, però, si stanno cominciando a scontrare con la realtà africana.

In Repubblica centrafricana (Rca), dove i Wagner non lavorano solo nel settore della sicurezza ma – anche – in quello minerario, il gruppo mercenario si occupa di sostenere e guidare il processo di disarmo delle milizie ribelli.

Nell’area di Zemio, nel sud-est della Rca al confine con la Repubblica democratica del Congo (Rdc), da marzo i Wagner stanno gestendo la smobilitazione di una milizia etnica del popolo Azandé, un migliaio di uomini; un centinaio di loro si sono riarruolati nell’esercito centrafricano mentre altri, i più meritevoli, oggi si fanno chiamare Wagner Ti Azandé e, secondo fonti del manifesto, alcuni sono stati inviati nel nord del Mali a dare supporto ad altri mercenari.

Ai primi di settembre, durante una sessione di addestramento, una milizia Azandé si è ribellata ai suoi istruttori: i muscolari metodi di addestramento e le alleanze etniche che Wagner ha cercato di cavalcare hanno rianimato una tensione mai sopita. Le reclute non avrebbero obbedito a un ordine degli istruttori, che li avrebbero picchiati provocandone l’ammutinamento. La crisi, certamente un sintomo di qualcosa di più grande, sembrerebbe essere rientrata, ma solo dopo che gli istruttori russi hanno promesso un trattamento migliore alle reclute.

Nel frattempo nella capitale Bangui la società privata di sicurezza americana Bancroft ha aperto un ufficio: lo aveva promesso il segretario di Stato Usa Anthony Blinken al presidente centrafricano Faustine Archange Touadera un anno fa, al vertice Usa-Africa di Washington, proponendogli di diversificare i fornitori per ridurre la dipendenza dai russi. Secondo Military Africa l’obiettivo di Bancroft è proteggere le concessioni minerarie nelle aree in cui operano gruppi ribelli armati e condividerne i benefici con la popolazione locale e lo Stato, formare guardie forestali per sviluppare il turismo venatorio e contribuire all’addestramento dei soldati locali. Il fondatore di Bancroft, Michael Stock, ha detto all’Associated Press che a Bangui la compagnia impiega poco meno di una trentina di persone e, da agosto, ha già investito 1,4 milioni di dollari.

Le difficoltà russe in Rca fanno il paio con un’altra crisi, ben più grande, vissuta di recente dagli «zii bianchi» (così si chiamano tra loro i mercenari russi in Africa): si tratta della battaglia di Tinzawatène, villaggio a 230 km a nord-est di Kidal, nord del Mali. Qui, alla fine di luglio, i Wagner hanno subito la peggior sconfitta mai registrata da quando sono presenti in Africa, una sconfitta avvenuta per mano dei ribelli del Quadro strategico per la difesa del popolo dell’Azawad (Csp-Dpa), tuareg separatisti storicamente in conflitto con Bamako. Sono decine i russi rimasti uccisi e, tra loro, c’erano nomi eccellenti, come quello di Sergei Shevchenko detto “Stagno”, amministratore del canale Telegram Grey Zone, uno dei cuori pulsanti della propaganda online di Wagner, i cui contenuti sono stati ripresi dai media europei per anni.

La storia di successo dei Wagner in Africa, a ben guardarla, è una storia di sangue versato per coprire grandi fragilità, raccontata molto bene a beneficio dei clienti. La vera storia, però, è un’altra: provocare la crisi e presentarsi con la soluzione. In questo, la Russia non ha eguali al mondo.

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