«Nuovo governo ancora più liberista, se il Labour si divide sarà un disastro»
Intervista Peter Thomas è Senior Lecturer alla Brunel University
Intervista Peter Thomas è Senior Lecturer alla Brunel University
Peter Thomas è Senior Lecturer presso il dipartimento di Politics and History alla Brunel University di Londra. Ha pubblicato vari studi sul pensiero marxista, la storia del pensiero politico e la storia della filosofia. Ha tradotto in inglese Negri, Zizek e Tronti ed è membro del comitato editoriale della rivista Historical Materialism.
Il discorso di insediamento di Theresa May sembrava uscire dal repertorio di Ed Miliband.
È importante distinguere fra la retorica e la realtà: ci sono indicazioni di un’agenda più socialmente consapevole, tradizionalmente presente in forme di retorica conservatrice. La realtà è che il governo di May ha delineato un programma di continuità con Cameron. Credo che questo si configuri come un governo dal neoliberismo ancora più aggressivo.
È giusto vederla come una figura che deve mettere ordine nel caos lasciato da Cameron nel partito e nel paese?
Il partito conservatore è un animale, o meglio, un mostro nel senso filosofico classico del termine, che si dedica a un obiettivo: mantenere il potere. Lo fa assai meglio del Labour. Ora hanno raggiunto un accordo per riportare unità nel partito proponendo il programma degli ultimi sei anni con le classi dominanti protette e quelle medie e subalterne in declino.
Il trio euroscettico Johnson/Davis/Fox sembra garantire l’intenzione di non temporeggiare, lei che era a favore del Remain
Il Brexit per molti versi era una copertura, la Gran Bretagna aveva già un relativo controllo dei propri confini e queste nomine servono a pacificare il partito e tamponare il rischio di un esodo di elettori verso l’Ukip. Qui, dove non c’è una carta scritta al contrario del resto d’Europa, il referendum è un’anomalia costituzionale ricondotta nell’alveo del sistema elettorale uninominale secco e del parlamentarismo di Westminster, che agisce in funzione di neutralizzazione del potere democratico. È come la creazione artificiale di un momento di potere costituente. Il partito dell’ordine ha creato le condizioni per quello che pensavano fosse simile a una volontà generale che poi è sfuggito di mano creando la necessità di un intervento correttivo attraverso il governo May.
Il sistema uninominale secco sembra inadatto alla frammentazione politica in atto.
Cameron ha giocato con questa concessione populista del referendum e ha perso, credendo – sbagliando – di poterla controllare. La bestia ora imperversa in lungo e in largo e faticano a domarla. La possibilità di introdurre cambiamenti istituzionali dipende dalla tenuta dell’unione, ora che anche Irlanda del nord e Galles cominciano a distaccarsi. Può darsi che l’anomalia inglese dell’uscita dell’Europa crei un terreno politico simile a quello europeo continentale dopo la guerra. Si assiste alla perdita del controllo del consenso da parte delle formazioni politiche che ora, attraverso il governo May, si cerca di riportare sotto controllo con i toni nazionalistici e paternalistici. Un simile contrasto, a lungo dormiente, si è creato nel Labour fra l’élite parlamentare e la base: l’avvento di Corbyn l’ha risvegliato. Dopo anni di marginalizzazione da parte del dominio teconocratico amministrativo blairista, incarnato in Italia da Renzi, il movimento laburista rivuole indietro il proprio partito. Tutto viene gestito attraverso le assai complesse, burocratiche e antidemocratiche procedure amministrative del Nec, che ora ha portato a 25 sterline la possibilità di votare alla primarie e ha escluso tutti coloro che si sono iscritti dal referendum in poi. Quello che succede nel labour è sintomo di una divergenza aperta in tutto il sistema politico fra elite e base. Quello che i media borghesi chiamano “deselezione” dei deputati centristi da parte della base, non è che la riselezione di rappresentanti più vicini ai rappresentati. Sarà un periodo teso e complesso di lotta.
C’è un rischio di scissione?
Sarebbe disastroso da un punto di vista elettorale, potrebbe culminare in anni di dominio Tory. Ma il centrodestra potrebbe rassegnarvisi se la via legale-amministrativa non gli restituisce il partito. Dipende dalla capacità della sinistra di imporre una maggiore disciplina a tutto il movimento e riconquistare la base sociale che si è alienata negli ultimi trent’anni.
Vede probabili elezioni anticipate? E se sì, come potrebbe sopravviverle il Labour?
Difficile fare previsioni in un clima così sconvolto. Data la natura del sistema britannico è possibile che May riesca da arrivare al 2020, ma ha una maggioranza ridotta e ha già fatto fuori nomi grossi che potrebbero rivoltarglisi contro. Poi bisogna considerare la situazione economica. Se non sarà recessione ci avviamo verso un rallentamento della crescita che potrebbe provocare le condizioni per elezioni anticipate. La reazione del Labour dipende da cosa il partito diventerà: se continua la guerra civile potrebbe essere sorpassato dall’Ukip. Se invece tornasse ad essere l’avanguardia del movimento operaio e una forza elettorale credibile potrebbe stupire come ha stupito l’avvento di Corbyn. Ma sarà difficile finché i media borghesi non riportano i termini del programma economico anti austerity di McDonnell, basato su nazionalizzazioni e investimenti.
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