Nostro jazz all’Avana…
Musica Una rassegna che agita i prosceni di decine di spazi a Cuba e che nel 2023 si è diviso tra L’Havana e Santiago in un range cronologico che ha coperto la settimana dal 22 al 29 Gennaio.
Musica Una rassegna che agita i prosceni di decine di spazi a Cuba e che nel 2023 si è diviso tra L’Havana e Santiago in un range cronologico che ha coperto la settimana dal 22 al 29 Gennaio.
La redazione consiglia:
Cuba, cuore e paroleAffascinante il lungo set dei cubani Los Muñequitos de Matanzas che manteneva una sua ferrea coerenza nel segno della rumba.
NEL VASTO proscenio del Nacional, piazzato proprio di fronte alla Plaza de la Revolución (presidiata dalle sagome del Che e di Camillo Cienfuegos e dal Monumento a Josè Martí), si sono alternati gruppi dal forte richiamo locale e dalla non sempre esaltante cifra creativa. Un poco raffazzonato, nonchè sbilanciato dal continuo arrivo di “guests”, il set del pianista cubano di stanza negli Stati Uniti, Ignacio (Nachito) Herrera con “su Habana Jazz Plaza Orquesta”; un poco anacronistico il progetto degli habaneri Síntesis, che pure hanno fatto la storia della musica alternativa di Cuba e si sono recentemente aggiudicati un Grammy latino con l’album “Ancestros Sinfonicos”. Un taglio stilistico il loro, che alternava folk, prog-rock, psichedelia e pop, con qualche disequilibrio nel mix. Molto bene invece il progetto acustico dell’argentino Chango Spasiuk che dopo essersi esibito qualche giorno prima al fianco della grande Omara Portuondo ha portato il suo quartetto nella Sala Avellaneda del Teatro Nacional componendo un set di quella che viene solitamente definita “musica del Litoral”, musica campesina con una verve irresistibilmente danzante, nobilitata non solo dalla fisa di Chango, ma anche dal lavorio al cajon peruano di Marcos Villalba. E benissimo infine, sempre al Teatro Nacional, per quel che riguarda il lunghissimo concerto (quasi tre ore) dei cubani Los Muñequitos de Matanzas. “70 años después” si intitolava il loro set e pur essendo anch’esso stipato di ospiti manteneva una sua ferrea coerenza nel segno della rumba.
FONDATO il 9 ottobre 1952, sotto il nome di Guaguancó Matancero, il gruppo ha nella sua vasta discografia titoli come “El Guaguancó de Matanzas”, “Rumba Caliente” e “Live in New York”. Con l’album “La rumba soy yo”, che ha riunito i migliori rumberos dell’isola, ha vinto il Grammy latino nel 1997. Il riferimento nell’insegna a Matanza è quello appunto a una delle due città, l’altra è l’Avana, dove questo genere di matrice folclorica, poi ibridatosi in mille rivoli, è nato e si è sviluppato. Los Muñequitos de Matanzas ne hanno celebrato in teatro una sorta di decalogo esauriente e completo, palleggiando magistralmente i propri brani, tra rumba yambú, rumba guaguancó, rumba columbia e sciorinando una classe sopraffina sempre limitrofa a una sorta di selvaggeria sensuale e ribalda. Memorabile anche la serata fissata nel Teatro América, un tempio dell’Art Decó habanera, aperto nel 1941 nella Calle Galeano. Di scena dapprima gli haitiani RasinMwen Project con il loro hard-bop muscolare e puntuto e poi il travolgente combo statunitense Jungle Fire, dedito ad un funk che si specchia nella rumba, nella cumbia e nell’afrobeat. Quanto alle esibizioni legate ad un jazz più ortodosso meritano una menzione senz’altro quelle del cantante barese Fabio Lepore con la Jazz Band del Conservatorio Amadeo Roldàn de l’Avana, del trombonista statunitense Steve Turre e dei trombettisti Carlos Sarduy e Yasek Manzano Silva. Questi ultimi tutti al Teatro Martí, un proscenio piazzato proprio al limitare dell’Habana Vieja, tra le strade che vedono sfilare le Buick e le Dodge anni ’50, rigenerate miracolosamente anno dopo anno dai meccanici habaneros. Di fronte al Teatro, lo scheletro ancora pericolante dell’Hotel Saratoga, distrutto da un devastante incendio nel maggio dello scorso anno.
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