Come se non bastassero i dissidi ormai palesi con Giorgia Meloni, Carlo Nordio ha deciso di mettersi nei guai anche con la Lega. La risposta del guardasigilli al senatore napoletano del Carroccio Gianluca Cantalamessa – che, scandalizzato, se l’è presa con i giudici che avevano concesso i domiciliari in Veneto e con il braccialetto elettronico a uno dei due maggiorenni accusati dello stupro di Caivano – non è una questione politicamente capitale, ma, al di là del merito della vicenda, è l’ennesima spia del fatto che qualcosa non va.

«NON EMERGONO elementi sintomatici di non corretto governo delle procedure previste», ha detto il ministro prima di affondare il colpo: «In ragione della separazione dei poteri, poiché lo scrutinio e la valutazione giuridica dei fatti sono di esclusiva pertinenza dell’autorità giudiziaria competente, in caso di non condivisione delle relative decisioni, lo strumento giuridico approntato dall’ordinamento risulta quello del ricorso». In pratica, l’invito è a non politicizzare troppo le faccende giudiziarie: un monito in piena regola. E non sfugge che il destinatario sia un leghista, cioè un esponente del partito che, dal caso Apostolico in avanti, più di tutti gli altri ha cercato di buttare in politica ogni decisione sgradita da parte di un giudice. La vicenda si inserisce in un quadro generale già abbastanza problematico per Nordio, isolato nel governo e sostanzialmente commissariato dal sottosegretario Alfredo Mantovano. Anche la mossa di mandare in consiglio dei ministri la riforma della separazione delle carriere (probabilmente dopo Pasqua) è in realtà un colpo inferto al ministro della Giustizia, che aveva in mente ben altri piani. Di fatto, la prospettiva di un Ddl del governo allontana la possibilità di un dibattito. Tutto si è fermato: la commissione Affari costituzionali avrebbe dovuto chiudere ieri un testo base, ma il punto all’ordine del giorno è stato cancellato e non se n’è fatto niente. E così anche la prova dell’aula alla Camera, prevista per il 25 marzo, salta ufficialmente.

«FRENANO dicendo di accelerare», sintetizza il dem Federico Gianassi. Enrico Costa di Azione, poi, evidenzia la natura tattica del passaggio: «È la seconda volta che accade. Già nel 2023 Nordio aveva detto di voler presentare un provvedimento, tutto si fermò e il Ddl non arrivò. Ora si ripete lo stesso schema». Poi c’è tutto il caso dell’inchiesta di Perugia sugli accessi abusivi ai database investigativi e sui presunti dossieraggi. Nordio si era detto favorevole a una commissione parlamentare d’inchiesta, ma Meloni non ne vuole sapere, con la consapevolezza che accendere una macchina del fango del genere vorrebbe dire considerare l’evenienza che gli schizzi di fango potrbebero andare in ogni direzione. E, ritrovata un po’ di serenità con la vittoria in Abruzzo, l’arma dell’evocazione del complotto contro la destra appare meno opportuna di qualche giorno fa. Meglio lasciar lavorare l’antimafia, con la sua lunghissima serie di audizioni. Sul punto, però, c’è un altro pezzo grosso di FdI e del governo che, con furbizia, avanza qualche perplessità. È Guido Crosetto, che ieri al Senato ci è andato giù senza mezzi termini. «Il rischio di questa vicenda – ha detto al question time – è che finisca come tante altre negli ultimi anni, che alla fine non hanno portato a nessun accertamento definitivo, ma soltanto a liquidare con alcune persone senza andare a fondo su quali sono le logiche, le persone, gli interessi e il calcolo che c’è stato dietro». Sul come fare, però, Crosetto si dimostra più prudente di Nordio, evocando sì la via parlamentare, ma senza perdersi nei dettagli: «Che sia fatto con il Copasir, con la Commissione antimafia o con una Commissione speciale, non sta al Governo e non sta a me dirlo, ma vorrei che il parlamento, proprio per la democrazia, non per chi ha denunciato, arrivasse a ridefinire i confini e a far riprendere fiducia in tutte le istituzioni da parte dei cittadini».

CON IL CERINO in mano, alla fine, resta il solo Nordio. Vaso di coccio in mezzo ai fasi di ferro, sostanzialmente commissariato, e senza via d’uscita. Un rimpasto che lo metta alla porta una volta per tutte, infatti, al momento non appare probabile.