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Nora, Mustafa e gli attivisti. Insieme contro lo sgombero

Nora, Mustafa e gli attivisti. Insieme contro lo sgomberoIl presidio sotto casa dei Ghayth-Sub Laban – Hayal Jabareen

Gerusalemme I due anziani palestinesi rischiano lo sgombero dalla loro abitazione in affitto protetto dal 1953 per far posto a coloni israeliani. Decine di attivisti li proteggono presidiando la casa

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 giugno 2023

Nora Ghayth e Mustafa Sub Laban, 68 e 73 anni, vivono con figli e nipoti in una casa minuscola, con una piccola porta incastonata nella pietra antica nella città vecchia di Gerusalemme. «Mia madre affittò questa casa nel 1953, dalle autorità giordane che allora controllavano la zona araba di Gerusalemme», racconta Nora. «In questa casa ci sono nata e ho continuato a viverci assieme a mio marito e ai miei figli in affitto protetto», aggiunge facendo riferimento alla condizione in cui si trovano tante famiglie palestinesi residenti all’interno delle mura antiche a Gerusalemme Est occupata da Israele nel 1967. Sono garantite da intese decennali che non vengono più rispettate. Dallo scorso 11 giugno i Ghayth-Sub Laban vivono nell’ansia. Sanno che da un momento all’altro potrebbero essere sgomberati con la forza dalla polizia. Un tribunale di Israele, che formalmente è un paese occupante in quella parte della città, ha stabilito che l’abitazione passerà a una famiglia di religiosi israeliani perché i Ghayth-Sub Laban non avrebbero vissuto in modo continuativo nella casa.

Da una settimana decine di attivisti palestinesi, internazionali e israeliani mantengono un presidio permanente sotto l’abitazione sperando di impedire, con la loro presenza, l’intervento della polizia. Però Nora, Mustafa e il figlio Ahmad sanno che potrebbero aver perso la battaglia cominciata nel 1978. «Contro di noi sono state intentate cinque azioni legali sin dagli anni ‘80» dice Nora. «I nostri avvocati – continua – hanno ribadito la validità dell’affitto protetto ma (gli israeliani) non vogliono rispettare quelle intese e affermano che non siamo stati sempre qui. Non è vero».

La dannazione di questo appartamento di pochi metri quadrati è una illusione ottica. Dal terrazzino dei Ghayth-Sub Laban appare vicinissima, si ha l’impressione di poterla toccare con una mano, la cupola dorata della Moschea della Roccia, luogo santo dell’Islam, ritenuto il punto più sacro del biblico Monte del Tempio ebraico. La luce calda del sole che si riflette sulla cupola nelle mattine di primavera, inonda questa piccola casa in via Aqbet Al Khalidiyah rendendola incantevole. Poche decine di metri più in basso c’è Bab Qattanin, con le sue bancarelle colme di tutto e i suoi lucernari vecchi di secoli che conduce fino alla Spianata delle moschee. I Ghayth-Sub Laban resistono ma intorno diversi appartamenti hanno già visto andare via chi ci viveva da anni per fare posto ai nuovi «inquilini» di «società immobiliari» e «fondazioni» che hanno già comprato diverse case in affitto protetto. Pare che Eli Ittal, il colono che, dicono i palestinesi, prenderà il posto della famiglia Ghayth-Sub Laban, passi ogni tanto davanti all’edificio per ricordare che presto, molto presto, in quell’appartamento andrà a viverci lui.

L’ong Ir Amin riferisce che il problema degli sgomberi non è raro e non solo nella città vecchia. Il caso più noto è quello di 28 case palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah costruite su terreni che, secondo i giudici israeliani, appartenevano ad ebrei prima del 1948 e che sarebbero poi stati acquisiti da società ed associazioni, come Elad e Ataret Cohanim, legate alla destra religiosa. Ai palestinesi invece non è permesso reclamare le loro proprietà – un patrimonio immenso – confiscate dallo Stato di Israele. Diverse organizzazioni israeliane di destra operano per comprare case e edifici nei quartieri musulmano e cristiano, avviando procedimenti legali contro chi ci vive. Ci sono 16 casi di sfratto pendenti a Gerusalemme, cinque nella città vecchia.

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