Internazionale

Deportati e zittiti, tre leggi per punire i palestinesi

Un ragazzino palestinese scappa dai soldati israeliani a Jenin foto Epa/Alaa BadarnehUn ragazzino palestinese scappa dai soldati israeliani a Jenin – Epa/Alaa Badarneh

Medio Oriente In quattro giorni la Knesset approva tre normative per rendere sempre più invisibile la comunità araba dentro Israele e quella di Gerusalemme est occupata: minori imputabili dai 12 anni, famiglie di condannati o indagati spedite a Gaza, insegnanti licenziati se parlano (o cantano) di Palestina. Il regime di apartheid si allarga su tutto il territorio controllato da Tel Aviv

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 8 novembre 2024

In quattro giorni il parlamento israeliano ha approvato tre leggi rivolte alla popolazione palestinese che Israele controlla, legalmente e illegalmente: palestinesi cittadini israeliani, palestinesi di Gerusalemme est occupata (apolidi, con mero permesso di residenza) e palestinesi residenti nella Cisgiordania sotto occupazione militare. Tre leggi volte a puntellare un sistema giudiziario fondato, fin dal 1948, su uno standard doppio e sulla istituzionalizzata superiorità dello status riconosciuto agli ebrei israeliani (definito regime di apartheid e riconosciuto come tale lo scorso luglio dalla Corte internazionale di Giustizia).

Tutte e tre violano il diritto internazionale e in alcuni casi le stesse leggi fondamentali dello Stato di Israele e che suppliscono all’assenza di una costituzione. E tutte e tre appaiono volte al raggiungimento di un obiettivo: rendere sempre più invisibile la comunità palestinese, con il carcere, con la repressione della libertà di espressione e, dove possibile, con la scomparsa fisica.

LA PRIMA AUTORIZZA lo Stato a deportare i familiari (genitori, figli, fratelli e sorelle, coniugi) dei palestinesi accusati di terrorismo, categoria legale dallo spettro piuttosto ampio, sia che siano stati già condannati, siano solo sospettati o siano in cella in detenzione amministrativa (senza accuse né processo). Si puniscono le famiglie, seppur la responsabilità penale sia individuale, nel caso in cui non abbiano impedito al parente di agire o abbiano espresso «simpatia».

Fortemente voluta dalla maggioranza di ultradestra, la normativa – passata con 61 voti a favore e 41 contrari – prevede la deportazione dei familiari dai 7 ai 15 anni nel caso godano della cittadinanza israeliana e dai 10 ai 20 nel caso di meri residenti. Luogo della deportazione: Gaza o «altrove a seconda delle circostanze». Come si debba decidere non è specificato, potere assoluto al ministero degli interni. La punizione collettiva delle famiglie non è una pratica nuova: oggi è perpetrata con i bulldozer, ovvero la demolizione delle loro case. L’ultima volta è successo ieri: tre case distrutte in Cisgiordania.

La seconda legge rende imputabili come adulti i bambini dai 12 anni di età. Accade già nei Territori occupati dove i minori sono perseguiti come adulti dai 12 anni in su nei tribunali militari. Ora è dentro Israele che l’asticella si abbassa a 12 (possono essere dunque condannati al carcere, fino all’ergastolo). Come spiega l’associazione per i diritti civili Adalah, oggi nel sistema giudiziario israeliano i cittadini minori di 14 anni non possono essere incarcerati.

E, AGGIUNGE, che siano i palestinesi nel bersaglio è dato dai numeri, «la stragrande maggioranza degli accusati dei reati previsti dalla legge. Al contrario, i bambini ebrei israeliani sono principalmente incriminati in base a leggi penali piuttosto che alla legge antiterrorismo, indipendentemente dalla natura o dalla motivazione dei loro reati».

«Queste misure incarnano la punizione e la vendetta, come apertamente detto dai legislatori israeliani – scrive Adalah – Israele rafforza il suo sistema giuridico a due livelli, con una serie di leggi per gli ebrei israeliani e un’altra, con diritti inferiori, per i palestinesi».

Lunedì la Knesset ha invece fatto passare in ultima lettura una legge che prende espressamente di mira le scuole palestinesi a Gerusalemme est: taglio dei finanziamenti e licenziamento degli insegnanti se le autorità occupanti li reputano rei di incitamento al terrorismo, espressione dentro la quale rientra (come dice la legge stessa) «sventolare una bandiera, esporre un simbolo, cantare uno slogan o un inno». Ovvero l’espressione delle proprie aspirazioni di libertà, l’uso di simboli nazionali (dalla mappa alla bandiera) o il racconto della Nakba del 1948.

«AL MINISTERO dell’educazione si dà il potere di decidere cosa è il terrorismo – protesta il parlamentare palestinese di Hadash, Ahmad Tibi – Può essere vero terrorismo e può essere una persona di sinistra a cui non piace Bibi».

«Una bomba non esplode da sola – ha commentato il padre della legge, il deputato del Likud Amit Halevi – I suoi componenti sono il cervello e il cuore, l’intenzione distruttiva e il fervore emotivo, tutte cose create dal sistema educativo. Un insegnante può crescere decine di bombe a orologeria ogni anno. Un’idea può essere più distruttiva di mille carri armati». Su quest’ultima considerazione, non ha tutti i torti.

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