Internazionale

Raid a tappeto sul Libano: la vittoria di Trump dà la carica a Tel Aviv

Un attacco israeliano su Beirut del 06 novembre foto di Marwan Naamani/AnsaUn attacco israeliano su Beirut del 06 novembre – Marwan Naamani/Ansa

Stragi nel sud e a Beirut. Parla il leader di Hezbollah: «Siamo pronti a una guerra lunga». Ma poi apre al negoziato

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 7 novembre 2024

Sette violentissime esplosioni in poco più di un’ora, al tramonto, hanno scosso la capitale libanese ieri. «Questa ormai è la frontiera», dice il tassista Rawan costeggiando e indicando la Dahieh, periferia a sud di Beirut al centro dei bombardamenti israeliani da oltre un mese, mentre percorre strade semideserte di sera. «Tutti i negozi sono chiusi in quest’area, anche i centri commerciali più importanti. Non c’è più niente a Dahieh».

Non c’è luce nelle quattro municipalità che compongono la vasta area tra l’aeroporto Rafiq Hariri e il centro città, prima di questa guerra a maggioranza sciita. Solo le colonne di fumo delle prime esplosioni sono visibili, poi, calato il buio, si prova a capire quanto vicino o meno l’aviazione israeliana stia bombardando dall’intensità dei boati.

IL PORTAVOCE dell’esercito israeliano Avichai Adraee ha su X annunciato ieri di aver fatto saltare in aria «delle armi di Hezbollah nella periferia sud di Beirut, dei depositi di armi e delle strutture militari» in quello che Israele continua a considerare il quartier generale di Hezbollah. Un primo bilancio è di una trentina di morti. Dopo alcuni giorni di relativa calma, Israele torna a colpire Beirut e lo fa con grande intensità proprio nel giorno in cui gli Stati uniti eleggono Trump presidente.

Nelle stesse ore il premier israeliano Netanyahu si è complimentato con lui in una conversazione telefonica nella quale hanno parlato della «minaccia iraniana». Attesissime, le elezioni americane sono un importante giro di boa dopo 13 mesi di guerra in Medio Oriente. Le frizioni tra Benyamin Netanyahu e l’attuale presidente americano Joe Biden non sono state un mistero per nessuno finora.

L’elezione di Trump avrà sicuramente un impatto sulla guerra in corso, sulle trattative per un cessate il fuoco a Gaza e in Libano e sull’assetto dei nuovi equilibri di potere che dovranno gestire la fase post-bellica, la ricostruzione e l’intera area. Massad Boulos, consigliere di Trump di origini libanesi, ha dichiarato in serata ieri all’emittente al-Jadeed che Trump «è deciso a porre fine alla guerra prima di entrare nella Casa bianca».

I nuovi bombardamenti sulla capitale arrivano anche nel giorno del secondo discorso ufficiale del neo-segretario generale di Hezbollah Naim Qassem, succeduto a Hassan Nasrallah, ucciso in un’imponente esplosione che il 27 settembre scorso aveva raso al suolo sei palazzi. «La vittoria sarà nostra e noi siamo pronti per una guerra lunga. Vinceremo», le sue parole di chiusura alle 15 e mezza locali, un’ora prima della serie di attacchi.

NEL DISCORSO ha comunque lasciato la porta aperta a una negoziazione sul cessate il fuoco mediata da Nabih Berri, che ha una doppia natura: istituzionale, in quanto presidente del parlamento da oltre trent’anni, e informale, siccome dialoga con l’ala miliziana di Hezbollah, in quanto capo dell’altro partito alleato sciita Amal.«Il successo di Trump o Harris non avrà nessuna incidenza sulle nostre posizioni. Non prenderemo in considerazione queste elezioni, né il fatto che Netanyahu possa cambiare i suoi obiettivi. Noi aspettiamo che si renda conto dei suoi fallimenti», il commento di Qassem sulle ripercussioni delle presidenziali americane in Libano.

Bagno di sangue nella Beka’a, dove l’aviazione israeliana ha condotto ieri almeno 33 attacchi che hanno causato sessanta morti, secondo gli ultimi aggiornamenti di ieri sera. Nelle ultime settimane si sono intensificati gli attacchi nell’est del Libano e in particolare nell’area della storica città libanese patrimonio dell’Unesco dal 1984, assieme a Tiro, anch’essa sotto le bombe.

L’aviazione israeliana ha lanciato un missile nel parcheggio del complesso archeologico che ospita le rovine romane risalenti all’età imperiale, tra cui spicca il più conservato tempio romano al mondo ancora in piedi, il tempio di Bacco. La città, storico crocevia di commerci e culture, nota per il culto di Ishtar, per i riti di prostituzione sacra, è stata fino a oggi un luogo simbolo e roccaforte politico-militare del partito di Dio. Sotto tiro un edificio tra il famosissimo e monumentale Hotel Palmira e il santuario sciita Sayed Khaula, proprio davanti alle rovine.

Bombardamenti incessanti anche su tutto il sud del paese. Hezbollah ha lanciato missili nel nord di Israele e sulla base militare di Tzrifin a Tel Aviv, dove ieri pomeriggio sono suonate gli allarmi. Lancio di razzi anche in direzione della Stella Maris, base navale a nord ovest di Haifa. Nel quotidiano bollettino del ministero della salute libanese i morti superano quota 3mila, 2.600 solo negli ultimi due mesi; 14mila i feriti.

IL MINISTRO del lavoro libanese Mustafa Bayram ha formalizzato ieri un esposto contro Israele all’Organizzazione internazionale del Lavoro a Ginevra per gli attacchi cibernetici ai danni dei possessori di walkie talkie e di cercapersone fatti esplodere il 17 e 18 settembre scorsi, «un precedente molto pericoloso se non condannato».

Mentre in queste ore il mondo si interroga su come cambierà la politica americana nell’area e su come questo influenzerà le sorti della regione, Netanyahu dà l’ennesima prova che in Libano la guerra è, per lui, tutt’altro che terminata.

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