Questa mattina sono partite in direzione di Ankara due delegazioni diplomatiche, rispettivamente dalla Finlandia e dalla Svezia, per affrontare l’attuale veto con il quale il governo turco ha messo in stallo il loro processo di adesione alla Nato. Dopo i passaggi formali della scorsa settimana, culminati con l’incontro tra il presidente Biden, il presidente finlandese Niinistö e la premier svedese Andersson alla Casa Bianca lo scorso giovedì, quello che doveva essere un percorso rapido e relativamente semplice si è rivelato irto di ostacoli. Ostacoli che hanno il volto del presidente turco Erdogan che nella giornata di ieri ha nuovamente specificato quali sono i requisiti per il suo governo per dare il via libera all’adesione della Svezia all’Alleanza atlantica e, quindi, anche della Finlandia il cui comune destino è stato ripetutamente ribadito da entrambe le istituzioni scandinave.

Attraverso una nota ufficiale della Presidenza della repubblica turca si richiedono «assicurazioni concrete dalla Svezia, che sostiene le organizzazioni terroristiche, in base al principio di sicurezza collettiva della Nato» e, nello specifico: «L’estradizione dei terroristi del Pkk/Pyd e della Feto dalla Svezia», la «cessazione del sostegno politico» e di quello finanziario che, sostiene Ankara, ammonterebbe a «367 milioni di dollari a sostegno del Pkk/Pyd» da parte del governo svedese.

Nella nota si parla anche di un «supporto alle armi per il Pkk/Pyd» con l’accusa al governo svedese di aver «fornito equipaggiamento militare, in particolare anticarro e droni, al Pkk/Pyd». In ultimo il governo turco chiede la fine dell’embargo sulla vendita delle armi al proprio paese deciso «dal governo svedese dopo l’“operazione sorgente di pace”, lanciata nel 2019 per consentire alla Turchia di esercitare i propri diritti e garantire la sicurezza delle frontiere». L’operazione alla quale fa riferimento Ankara fu un’offensiva militare decisa da Erdogan contro il confederalismo democratico del Rojava e della Siria Nord orientale.

La nota non ha stupito le diplomazie scandinave e neppure il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che ieri ha commentato: «La Turchia è un importante membro della Nato e dobbiamo ricordare che nessun altro paese dell’Alleanza è stato colpito da tanti attacchi terroristici come la Turchia e nessun paese ospita tanti rifugiati come la Turchia», «nelle nostre conversazioni il presidente Erdogan ha espresso ovviamente la necessità di avere armi di cui hanno bisogno».

Sia ad Helsinki che a Stoccolma i due governi dispensano ottimismo, convinti che la trattativa vera per sbloccare la loro adesione nell’Alleanza passi per concessioni dirette degli Usa ad Erdogan. La ministra degli esteri svedese, Ann Linde, si è rifiutata di entrare nello specifico delle richieste turche ribadendo che «le diplomazie sono al lavoro» e precisando, solamente, che «la Svezia non fornisce alcuna assistenza finanziaria o supporto militare all’autogoverno nel nord-est della Siria, al Consiglio democratico siriano, alle forze democratiche siriane o alle Ypg/Ypj». Secondo la ministra degli esteri la somma di miliardi menzionata proviene dagli aiuti umanitari inviati in Siria attraverso «principalmente organizzazioni delle Nazioni Unite, che operano in tutta la regione (compresa la Turchia)».